Federico Caffè: un economista a difesa dell’uomo

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di Leonardo Salutati · Sulla figura di Federico Caffè, uno dei più insigni economisti italiani del secolo scorso, ci siamo intrattenuti nel maggio del 2017 nel 30° anniversario della sua scomparsa. Ritorniamo oggi su questo personaggio a seguito della pubblicazione nell’ottobre scorso del saggio, Maestro delle mie brame. Alla ricerca di Federico Caffè, in cui il grande economista rivive nelle memorie di Daniele Archibugi. Non è un libro di economia, ma il racconto delle relazioni intime tra le famiglie Archibugi e Caffè e, in particolare, dell’amicizia tra Daniele e Federico che, tuttavia, arricchisce il profilo del grande economista rivelando i tratti profondi e nobili del suo essere, come quando Archibugi lo descrive come «uomo buono e intelligente capace di essere guida dell’anima», restituendoci una figura di economista che, ancora oggi, può essere di guida alle nuove schiere di studiosi dell’economia.

Federico Caffè è stato maestro di intere generazioni di illustri studiosi, basti citare, come fa l’autore, Mario Draghi, Ignazio Visco, Ezio Tarantelli, Fausto Vicarelli, Franco Archibugi; Giorgio Ruffolo, Marcello De Cecco, Bruno Amoroso ed Enrico Giovannini. Ma al di là dei suoi più noti allievi, Caffè era di una disponibilità inesauribile verso tutti gli studenti. Aveva laureato oltre 1.200 persone e «quando andò fuori ruolo nel 1985 era stato insegnante per più di trent’anni senza mai sottrarsi dal fare una lezione o dall’interloquire con gli studenti agli esami… non ha mai spostato la data… per non creare disagi agli studenti che si sono prenotati. Tanta disponibilità scaturiva da una caratteristica particolare; la grande curiosità che aveva per il prossimo e in particolare per i giovani».

Molti si sono interrogati sul perché Caffè fosse così famoso in mancanza di una precisa teoria a lui imputabile. Una prima risposta la offre il collega e amico Francesco Parrillo. Caffè aveva salda la convinzione che l’economia fosse una scienza sociale, da mettere al servizio dei più deboli e per riparare ai guasti che un mercato senza controlli poteva creare e che in effetti ha creato. Non criticava per distruggere, ma per correggere, costruire, migliorare, illuminato sempre da un alto senso del dovere e del bene comune. Caffè era consapevole che non viviamo in un mondo di angeli fatto di pace e di armonia, ma in un mondo di urti, di contrapposizioni, di lotte, di disuguaglianze, di disparità profonde. In questo contesto, il posto che Caffè si era scelto era accanto ai poveri, agli emarginati, ai perseguitati.

L’altra risposta la offre un altro collega, Pierluigi Ciocca, che scriveva: «Non c’è in letteratura un “teorema Caffè”, in nessuna delle 100 branche specialistiche in cui l’“economica” è frammentata». Tuttavia, tra i molti contributi di Caffè alla disciplina, tre meritano di essere sottolineati. Caffè muoveva da una concezione alta dell’intervento nell’economia, dei suoi fini in primo luogo; aveva ben chiari i limiti dei mercati finanziari; metteva in guardia dall’allarmismo in politica economica che può creare indebiti condizionamenti sul corpo sociale. Punto di forza del lavoro analitico di Caffè fu la padronanza della teoria, che lo portò a introdurre gli studi di J.M. Keynes in Italia anche contro una scuola italiana valorosa e che egli amava, ma che rifiutava il nuovo corso dell’epoca rappresentato dalla teoria keynesiana.

Il grande economista britannico nella monografia del 1919 su “Le conseguenze economiche della pace”, nel capitolo finale dedicato ai rapporti dell’Europa con la Russia, affermava che: «In un modo soltanto possiamo agire su queste correnti nascoste: mettendo in moto quelle forze dell’educazione e dell’immaginazione che cambiano l’opinione. Affermare la verità, svelare le illusioni, dissipare l’odio, allargare ed educare il cuore e la mente degli uomini: questi i mezzi necessari». Qualche anno più tardi terminava la sua “Teoria generale”, che ha affrontato il problema di come combinare efficienza economica, giustizia sociale e libertà individuale, affermando che: «nel bene e nel male, il futuro di ogni società non è determinato, nel lungo periodo, dagli interessi costituiti ma dalla forza delle idee».

Una visione del mondo condivisa da Caffè, del tutto coerente con i grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa, soprattutto nel riferimento alla centralità della persona umana nei processi di sviluppo per la costruzione del bene comune. Quello di Keynes e di Caffè, infatti, è certamente un approccio da “liberali riformisti” che, però, può incontrarsi con la cultura cristiana come, ancora recentemente, ha riconosciuto molto chiaramente un altro importante economista contemporaneo, J. Sachs, per il quale «la dottrina sociale della chiesa offre una cruciale via verso un’etica globale dello sviluppo sostenibile» (2017). Una visione del mondo di cui oggi si avverte la mancanza insieme all’urgenza di recuperarla.

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Leonardo Salutati

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