Il sinodo sulla sinodalità e il bisogno di comunione secondo il cardinale Christoph Schönborn

750 422 Alessandro Clemenzia
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di Alessandro Clemenzia · «La sinodalità è il modus operandi della comunione ecclesiale». Con queste parole l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, ha voluto sintetizzare, in una intervista recentemente rilasciata, le sue aspettative da questo primo sinodo sulla sinodalità. Il teologo austriaco ha collegato il recente sinodo, che si terrà in questo mese di ottobre in Vaticano, con quello che si è svolto nel 1985, il quale ha segnato una tappa decisiva per l’autocoscienza ecclesiale, in quanto momento di verifica sul cammino intrapreso dalla Chiesa nei vent’anni dopo la chiusura del Vaticano II. Ha affermato il cardinale: «Ho partecipato al sinodo del 1985 non come vescovo ma come teologo, […] e il tema era la comunione, la communio, parola essenziale del Vaticano II . Anche quel sinodo non aveva un tema specifico ma era quasi un sinodo sulla comunione: la communio, come nota essenziale della chiesa, come caratteristica della vita ecclesiale». Ha inoltre affermato: «E penso che il sinodo sulla sinodalità sia qualche cosa di simile».

Tante sono le interpretazioni odierne che vengono date alla parola “sinodalità”. L’Arcivescovo di Vienna ha dato anch’egli una sua opinione: «Quello sulla sinodalità è un sinodo su come si vive in modo evangelico, in modo corrispondente alla vita del vangelo, la comunione ecclesiale, il camminare insieme del popolo di Dio, di tutti i membri del popolo di Dio. […] Penso che questo tema della sinodalità sia un ulteriore passo nella ricezione del Concilio Vaticano II, la communio e il modus operandi della communio, la sinodalità. Non bisogna poi dimenticare che il camminare insieme della sinodalità non avviene solo nella contemporaneità, ma anche nella storia. E dunque sinodalità vuol dire anche far memoria del cammino di chi ci ha preceduto nella fede».

Secondo questa interpretazione, dunque, la sinodalità è espressione concreta della comunione e anche “modus operandi”, e dunque metodo attuativo; in altre parole: essa è il modo concreto attraverso cui inverare la comunione nella Chiesa. Tale interpretazione ha fatto compiere al cardinale un ulteriore passo in avanti: conferendo un significato così essenziale alla sinodalità (come dimensione comunionale), essa non può risultare unicamente come qualcosa di nuovo, altrimenti si rischierebbe di affermare che la Chiesa è realmente tale solo nell’oggi, in quanto capace di vivere ciò che caratterizza profondamente la sua natura. In questo senso il “camminare insieme” è quel filo conduttore che si può rintracciare in tutta la storia ecclesiale.

Tale modo di intendere la sinodalità sembra essere ben distante dall’interpretazione di coloro che si riferiscono soprattutto ai processi decisionali nella Chiesa. Il giornalista, durante l’intervista, gli ha poi rivolto una domanda sull’esperienza sinodale che in realtà introduceva la questione dell’esercizio dell’autorità: «Papa Francesco insiste nel sottolineare che il sinodo è fatto di preghiera, ascolto della voce dello Spirito Santo, ascolto reciproco e discernimento. Ed è diverso dai lavori di un parlamento — altrettanto positivi — che sono soggetti alle logiche di maggioranza e minoranza». Il cardinale, pur considerando la positività del discernimento che può avvenire anche nel sistema democratico parlamentare, riconosce che il sinodo non può minimamente essere equiparato a tutto ciò, in quanto la ricerca dell’unanimità rappresenta una vera e propria tensione all’unità: «Il sinodo è consultivo, non è un organo di legislazione. Serve per l’ascolto, l’ascolto comune della voce dello Spirito Santo».

Un altro elemento decisivo a proposito del sinodo sulla sinodalità è dato dal ruolo dei laici, che partecipano ad esso come membri a pieno titolo, e non soltanto come uditori. Spiega il cardinale viennese: «Penso che sostanzialmente non cambi la fisionomia del sinodo, perché certo è un sinodo di vescovi, la maggioranza rimangono i vescovi, perché la tradizione sinodale è anzitutto quella dell’incontro dei vescovi della regione, della nazione, etc. Ma questa partecipazione dei fedeli laici è certamente importante per migliorare l’ascolto». In questo senso, il sinodo continuerebbe ad essere “sinodo dei vescovi”, pur prendendovi parte un gran numero di laici.

A proposito delle tematiche ritenute dall’opinione pubblica come le più urgenti da affrontare, interessante è la considerazione dell’arcivescovo austriaco, che ritiene fondamentale non dimenticare l’universalità della Chiesa: «Io però sono un po’ scettico sul fatto che l’elenco dei temi molto dibattuti soprattutto nel mondo occidentale secolarizzato siano così centrali per tutta la chiesa. Faccio un esempio. Al sinodo sull’Amazzonia c’è stata da certi gruppi una forte pressione per arrivare a una decisione sui viri probati, l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Forse sarò criticato per ricordarlo, ma è stato detto al sinodo. Alcuni si sono chiesti: come è possibile che vi siano ben 1.200 preti della Colombia, Paese che ha molte vocazioni sacerdotali, che vivono negli Stati Uniti e in Canada? Perché un centinaio o duecento di loro non vanno in Amazzonia? Il problema della mancanza dei preti sarebbe risolto. Dunque penso che a volte ci voglia un po’ più di discernimento e anche di onestà nel vedere la complessità delle tematiche. In questo senso sono fiducioso che il sinodo sarà una bella e forte occasione, un’opportunità per discernere insieme su queste tematiche».

Insomma, secondo il cardinale Christoph Schönborn, il sinodo sulla sinodalità intende rispondere a quella sete di comunione che la Chiesa continua incessantemente ad avere.

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