Kolbe e la Milizia dell’Immacolata. Maria icona del cristiano

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di Francesco Vermigli · Perché padre Kolbe – la cui memoria liturgica cade il 14 agosto, giorno della sua tragica uccisione ad Auschwitz nel 1941 – ha fondato una Milizia di fedeli intitolata a Maria Immacolata? Mi riferisco evidentemente a quella che nel 1997 la Santa Sede avrebbe riconosciuto come una Associazione Pubblica Internazionale e che oggi conta milioni di membri in tutto il mondo. Ci domandiamo dunque: perché intitolare un’associazione a Maria, usando tra l’altro un linguaggio militante che stride con la prevalente attitudine della Chiesa di oggi ad allontanare vocaboli che possano rimandare all’immaginario della battaglia e della guerra? Abbiamo già trattato in questa medesima rivista online di san Massimiliano Maria Kolbe (vedi) e della sua ultima offerta d’amore e di vita, avvenuta al culmine della tragedia della guerra e della crudeltà dello sterminio nazista. Qui si tratta piuttosto – come detto – di andare a capire le ragioni per le quali quel giovane frate conventuale abbia scelto di radunare i fedeli sotto il nome e sotto la protezione di Maria Immacolata; decisione presa a Roma il 16 ottobre 1917, assieme ad alcuni confratelli, in una stanza all’interno del Collegio Internazionale dei Frati Minori Conventuali, presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura”. E anche di Maria e del suo concepimento senza peccato abbiamo già trattato in questa stessa rivista (vedi). Perché, dicevamo, Maria Immacolata è stata scelta come il riferimento di un’associazione cristiana?

Innanzitutto, notiamo come questa scelta paia coerente con il momento storico preciso vissuto dall’Europa all’epoca: un tempo segnato dalla guerra e, per di più, da una guerra dilaniante, mai vista prima; tanto da doverla definire Grande, al confronto con le precedenti. Poche settimane prima della decisione presa da Kolbe e da alcuni suoi confratelli di riunirsi attorno alla protezione dell’Immacolata, papa Benedetto XV aveva rivolto un accorato appello a tutti i governanti degli Stati in conflitto perché tacessero infine le armi e si mettesse termine a quella che definiva in maniera straordinariamente icastica l’“inutile strage”. Ebbene, in quel periodo, in quei mesi, appellarsi a Maria e alla sua protezione significava rivolgere alla sua intercessione una richiesta coerente con quello che la Chiesa chiedeva con insistenza: richiesta di pace e concordia tra i popoli del Vecchio Continente.

Eppure, il rimando al linguaggio bellico – ma anche assai tradizionale nell’ecclesiologia: chi non ricorda la distinzione tra Ecclesia militans ed Ecclesia triumphans? – rivela il carattere drammatico di questa decisione. Kolbe pare avere una percezione chiarissima che un vecchio mondo sta per terminare; lui che biograficamente (nato nei pressi di Lódz e formatosi a Leopoli) apparteneva a quella grande temperie culturale che va sotto il nome di Mitteleuropa e che radunava in un’unica convivenza sociale il mondo slavo e quello tedesco, il mondo italiano e quello magiaro: da Trieste a Danzica, da Salisburgo a Budapest fino a Leopoli. Lui che apparteneva al mondo degli Imperi, che le sorti alterne di quella Grande Guerra avrebbero poi schiantato; lui, dunque, che apparteneva ad una stagione giunta al capolinea, affida a Maria e alla sua tutela materna la Chiesa e la società che sarebbero uscite dal dramma della guerra. Per questo il vocabolario bellico non deve stupire, perché è il modo tradizionale con cui la teologia spirituale ha sempre inteso la dimensione proattiva della fede: che combatte contro gli ostacoli del peccato e del diavolo, che si lancia nell’impegno per la costruzione del Regno.

Eccoci, dunque, giunti alla chiave di lettura dell’attribuzione a Maria Immacolata del titolo di questa associazione di fedeli. Maria Immacolata viene colta da Kolbe nella sua dimensione missionaria: quel tratto, cioè, che contraddistingue certo i primi passi del nuovo sodalizio mariano a Niepokalanów nei pressi di Varsavia, ma che si manifesterà con ancora maggiore evidenza nell’esperienza di Nagasaki – in territori lontani da quelli di più antica tradizione cristiana – dove padre Kolbe risiedette tra il 1930 e il 1936. Maria viene, cioè, colta come icona del cristiano che è chiamato a portare Cristo al mondo, a diffonderlo, a partecipare all’edificazione del Regno di Dio. Come fece lei con santa Elisabetta, con la gioia e la determinazione di una giovane donna che ha conosciuto l’amore e la volontà di Dio nella propria vita.

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Quel tratto guerresco dell’associazione intitolata a Maria Immacolata (una milizia combatte, non sta a guardare, sennò che milizia è?) appare ora con una luce diversa e che anche la nostra temperie ecclesiale più pacifica può accogliere come un insegnamento. È la dimensione missionaria della fede quella che emerge nell’esperienza del sodalizio mariano fondato da padre Kolbe. Quella dimensione missionaria che nasce dall’esperienza dell’amore di Dio che ci stupisce e ci precede; e che ci stupisce, perché ci procede. Come ci insegna la vicenda di Maria, che corre ad annunciare con stupore la grazia e la bontà che ci raggiungono, che si fanno presenti nella nostra vita prima di ogni nostro merito.

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Francesco Vermigli

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