La Pira, Mattei ed il sogno del Mediterraneo come spazio di pace.

259 194 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · «Noi pensiamo che il Mediterraneo resti ciò che fu: una sorgente inestinguibile di creatività, un focolare vivente e universale dove gli uomini possono ricevere le luci della conoscenza, la grazia della bellezza e il calore della fraternità. La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi». Sono parole che Giorgio La Pira pronunciò durante il Congresso Mediterraneo della Cultura svoltosi a Firenze il 19 febbraio 1960 e che ben rappresentano la sua visione del Mediterraneo come spazio baricentrico degli equilibri mondiali. La Pira conferiva questa importanza particolare al Mare nostrum anche e soprattutto in riferimento al fatto che su tale bacino si affacciava (e continua ad affacciarsi) la triplice famiglia di Abramo: cristiani, ebrei e musulmani.

La citazione del “sindaco santo” offre, a mio avviso, la giusta prospettiva in cui collocare anche l’azione politica ed economica di Enrico Mattei nei confronti dei paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Nell’aprile scorso Giovanni Pallanti ha presentato in questa rivista un interessante profilo biografico del fondatore dell’ENI, ponendolo, a mio avviso, nella giusta dimensione storica. In questi mesi si sta parlando tanto di realizzare un “Piano Mattei” per l’Africa. Al di là degli slogan credo che sia opportuno rendersi conto che il progetto di Mattei sui Paesi del Terzo mondo e su quelli che si affacciano sul Mediterraneo non si limitava a qualche accordo di tipo economico, ma era una visione strategica di ampio respiro, caratterizzata dalla collaborazione all’indipendenza ed alla libertà dei popoli, cosi come ricordava Pallanti.

Non è un caso, a mio avviso, se i Colloqui Mediterranei organizzati a Firenze da Giorgio La Pira a partire dal 1958 (dopo gli incontri con il Re del Marocco Maometto V) e che avevano come obiettivo ufficiale la ricerca di comuni radici culturali tra i popoli del Mediterraneo, fossero anche l’occasione per tessere tra i suddetti popoli quella diplomazia informale di cui Mattei beneficiava in termini di rapporti e contatti. Del resto il sodalizio tra La Pira e Mattei era consolidato e proficuo come aveva dimostrato il salvataggio dell’azienda fiorentina Pignone operato nel 1954 proprio dal presidente dell’ENI su richiesta del Professore.

Probabilmente la connotazione ideale (ma mai irreale) della visione geopolitica lapiriana non coincideva in tutto e per tutto con quella di Mattei che, da manager di una grande azienda statale, pensava ovviamente di trarre dalle relazioni con i paesi africani e mediorientali dei legittimi interessi economici per l’Italia. D’altra parte la sua invenzione, l’ENI, doveva servire proprio per rendere il nostro Paese indipendente o quanto meno il più possibile autonomo dal punto di vista energetico. Allo stesso tempo Enrico Mattei è stato dipinto troppo spesso come un mero uomo d’affari abile e spregiudicato (si ricordi, ad esempio il cosiddetto “metodo Mattei” che consisteva in un modo, diciamo, disinvolto di risolvere tutte quelle lentezze burocratiche italiane che già negli anni Cinquanta ostacolavano la realizzazione di importanti infrastrutture).

Mi piace considerare Mattei come il fautore di quel neoatlantismo che voleva, sì, l’Italia al fianco degli Stati Uniti contro la minaccia comunista, ma anche in dialogo paesi del Medio oriente e del Terzo mondo per far ottenere al nostro Paese una posizione strategica all’interno del Mediteranno creando ponti di pace tra la triplice famiglia di Abramo. Purtroppo l’Italia era troppo debole per avere un ruolo autonomo all’interno dell’alleanza atlantica. Una debolezza che nel 1962 si palesò con la morte di Mattei dovuta allo scoppio di una bomba sul suo aereo.

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Stefano Liccioli

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