«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40) 

500 281 Stefano Tarocchi
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di Stefano Tarocchi · “Quando sta per arrivare un uragano, gli esseri umani possono sapere del suo avvicinamento grazie a meteorologi lungimiranti, e possono anche prepararsi alla sua venuta o ignorare scioccamente il suo imminente arrivo. Ma non possono fare nulla per fermarlo, modificare il suo percorso, o cambiare la sua natura. Allo stesso modo gli esseri umani non possono fare nulla per “affrettare la venuta del Regno di Dio”, tantomeno “costruirlo” o “dargli forma”. Gesù non chiama i suoi seguaci a creare o formare il Regno di Dio. Egli li chiama perché rispondano alla sua venuta inesorabile e alla sua presenza parziale nel suo ministero. Essi possono farlo cambiando radicalmente la loro vita secondo gli insegnamenti di Gesù, il suo modo di interpretare e di mettere in atto la volontà di Dio nella Parola alla luce del compimento della storia di Israele… Questo fare la volontà di Dio secondo Gesù è inteso non come un esercizio di cieca obbedienza per amore dell’obbedienza, né come un’azione collaborativa che porterà il Regno. Come per l’alleanza con Abramo, Mosè e Davide, … e le speranze di un’alleanza rinnovata o nuova negli ultimi giorni, l’obbedienza a Dio espressa nell’alleanza include la promessa della ricompensa” (Meier). 

Veniamo così alla lunga sezione del giudizio finale che si distende al termine del capitolo 25 del Vangelo di Matteo (Mt 25,31-46), subito dopo la parabola dei talenti: siamo alla conclusione del discorso sugli ultimi tempi (Mt 24,1-25,46). 

L’insegnamento sul giudizio finale ha come due passaggi fondamentali. Il primo, più breve, ha come protagonista il Figlio dell’uomo tornato nella gloria che radunerà tutte le nazioni della terra, e separa definitivamente le pecore dai capri.  

Il secondo passaggio, invece, molto più articolato, ha come protagonista il re, davanti al quale stanno coloro che sono chiamati «benedetti» e quanti sono chiamati «maledetti», senza mezzi termini. In filigrana si percepisce la figura del Cristo, e la sua signoria sulla storia, come è descritta in 1 Cor 15 (cf. 1 Cor 15,28: «quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti»). 

Il legame fra la prima e la seconda sezione del discorso sul giudizio è dato indubbiamente da questo elemento di divisione, che nella narrazione è spiegato dettagliatamente. 

Contrariamente a quanto si sente talvolta proclamare, questa non è una parabola. Tutti i tempi al futuro che vengono usati in questa narrazione non appartengono al linguaggio consueto delle parabole, dove invece troviamo i verbi al presente o al passato.

È evidente dal racconto di Matteo che cosa costituisce il motivo del giudizio, sia per coloro che vengono chiamati alla destra del re, che per quanti sono alla sua sinistra. Gli uni e gli altri hanno compiuto, oppure hanno mancato, a quello che il re dice «“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,34-36). La ragione di quest’invito fra i benedetti è estremamente chiara, non tanto ai chiamati ma solo agli occhi del re: «“in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Mt 25,40).  

Come è chiaro, ancora ai suoi occhi, quello che lo stesso re dice agli altri: «in verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. (Mt 25,45).  

In sostanza, è il bene compiuto oppure omesso a fare la differenza. Tuttavia, il re non è presente in prima persona, nel momento in cui a lui è stato fatto oppure non è stato fatto: ci sono solo, e anche «uno solo» di «questi miei fratelli più piccoli». 

Non è dato sapere se davanti allo stesso re anche i più impermeabili a compiere il bene avrebbero cambiato strada, né è necessario saperlo. A nessuno è consentito cercare anche solo per ipotesi un’altra trama nella narrazione evangelica.  

Dopo tutto il bene può essere fatto anche solo per convenienza, oppure per trovare un consenso davanti all’opinione pubblica, ammirata da tanto altruismo, sebbene solo apparente. È solo sull’apparenza che, ad esempio, i potenti di qualunque specie costruiscono le loro fortune: non è così difficile trovare qualche apparato per costruire una fake news, le armi di tanta comunicazione interessata, tipica questi nostri tempi ma non solo. 

Tuttavia, di fronte a quello che la narrazione evangelica di Matteo stabilisce come il termine di riferimento per essere giudicati degni di andare alla destra del re, e anche del figlio dell’uomo, non c’è scusa che tenga.  

Il bene è quello che si è compiuto soltanto quando si è stati capaci di accogliere Il Cristo negli ultimi. E non importa se siamo credenti oppure no. Importa solo sprecare il tempo che ci è dato per fare il bene, e come tutti i doni divini, non nasconderlo sottoterra, così da tenerlo per noi (cf. Mt 25,24-25).

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Stefano Tarocchi

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