«Appello al diritto» e la risposta che i piccoli e i deboli rivolgono al diritto

351 500 Francesco Romano
  • 0

di Francesco Romano • Un libriccino esile, ma solo per dimensioni, scritto da Carlo Casini attira l’attenzione per il titolo suggestivo “Appello al Diritto”. Un titolo emblematico che riconosce nel diritto la forza dei deboli, di coloro che non hanno la forza di difendersi da sé, di difendersi dalle ingiustizie dei forti, di coloro che non possono far valere la giustizia da soli. Viceversa il diritto è anche servito per esigenze opposte a quelle della giustizia, fino all’estremo di essere usato per togliere visibilità giuridica a intere categorie di esseri umani, riducendoli a oggetti. Gli esempi sono molti: dalla schiavitù all’olocausto nazista.

L’uomo può perdere tutto, spogliarsi di tutto, materialmente e psicologicamente, ma resta inalienabile il diritto alla radice del suo essere: “Togliete all’uomo la ricchezza e il dominio delle cose: il diritto dovrà comunicare a essere sua difesa. Toglietegli anche la capacità di realizzare, di pensare, di dire cose intelligenti, di lavorare e di essere utile: il diritto dovrà egualmente dichiararne il valore. Riducendolo a un povero sciocco, mendicante, malato, un peso per la società: il diritto si suiciderebbe se lo privasse di tutela. E ora impoveritolo fino al massimo, rimpicciolitelo fino al momento dell’inizio, nascondendolo perché non si veda e non susciti sentimenti, toglietegli la voce e lo stesso nome: troverete la radice della giuridicità se, almeno, vi lascerete inquietare e pretenderete, almeno, che il diritto (non la sola morale) pronunci la parola che riconosce la dignità dell’uomo. Di più: immaginate (è facile!) che tutto converga contro la vita stessa di quest’uomo che comincia: interessi, abitudini inveterate, nuovi modelli di vita, sovrappopolazione, consumismo, errori educativi, un generalizzato consenso all’aborto, terrore dell’avvenire, difficoltà di applicare compiutamente una legge che intendesse opporsi a questo stato di cose. In tale caso l’embrione umano fa appello al diritto. Chi è più debole e povero di lui? Chi più di lui facile vittima dell’oppressione? Il carattere estremo della sua povertà è determinato dalla sua non visibilità. Solo la ragione lo rende visibile. Ma la ragione individuale spesso vacilla, più spesso ancora si adatta alle esigenze di ciò che è utile ai più forti e ai più autorevoli. Egli ha bisogno di essere reso visibile da quella razionalità collettiva a difesa dei deboli che è il diritto”.

Per Carlo Casini il diritto da solo può, in quanto diritto, offrire un contributo originale per dare risposte a queste domande prima di attendere i risultati della ricerca scientifica o della filosofia. In primo luogo esso, in quanto razionalità collettiva, esige razionalità, non può porre le conseguenze prima dei presupposti.

L’intenzione dell’Autore con questo enunciato è di arrivare a dire che “non è possibile stabilire cosa si può fare e cosa non si può fare, riguardo all’embrione, se prima non diciamo cosa è l’embrione. Resta nella premessa che nessuno è più debole e più povero di lui e il carattere estremo della sua povertà è determinato dalla sua non visibilità. Per Casini l’appello al diritto si concentra sull’embrione umano. Perciò la definizione dello statuto giuridico del non ancora nato è la priorità.

Nel diritto lo strumento formale con cui è riconosciuta la qualità di soggetto è l’attribuzione della capacità giuridica, intesa come l’attitudine a essere titolare di diritti soggettivi, non importa quanti e non importa se attualmente esistenti. Le cose non hanno capacità giuridica e la possibilità di distruggere liberamente quelle proprie è la conseguenza della loro inesistenza come soggetti. Viceversa il precetto del “non uccidere” è quello che sottrae l’uomo dal regno delle cose, per dirla con Guardini.

La definizione precisa di persona risponde a una categoria giuridica, essere titolare di diritti anche soltanto in potenza. Avere la capacità giuridica è l’attitudine a essere titolare di diritti e/o di obblighi. Essere soggetto, essere persona, avere la capacità giuridica per il diritto è la stessa cosa. Nel diritto moderno la qualità di essere umano è la condizione sufficiente nel senso che, per il principio di uguaglianza, ogni essere umano deve essere riconosciuto come soggetto-persona in senso tecnico giuridico. Questa è una affermazione solenne delle Costituzioni nazionali e delle grandi carte internazionali.

La Costituzione italiana all’art. 22 dice che “nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”. Su questo punto Casini annota una contraddizione nella giurisprudenza costituzionale quanto al giudizio sulla vita umana incipiente. La sentenza del 18 febbraio 1975 allargò notevolmente la causa giustificatrice dello “stato di necessità” riguardo all’aborto. Tale decisione afferma che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, più precisamente all’art. 2 “che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, tra i quali non può non ricomprendersi la situazione giuridica del concepito. Successivamente nella medesima decisione, si legge che “non vi è equivalenza tra la madre, che è già persona, e il figlio che persona deve ancora diventare”.

Viene annotato dall’Autore che se nell’ambito giuridico il concetto di “persona” è dato dalla titolarità anche solo potenziale di diritti, è contraddittorio affermare che il concepito è titolare dei diritti dell’uomo e contemporaneamente non è persona. A meno che la Corte Costituzionale anziché al concetto di persona in senso tecnico giuridico abbia fatto riferimento a qualche concezione filosofica. Allora la contraddizione è nell’uso di concetti filosofici in un testo giuridico.

Il vero scoglio è l’art. 1 del Codice Civile dedicato alle persone fisiche che al primo comma dice che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, mentre il secondo comma lo mitiga e lo problematizza riconoscendo a favore del concepito i diritti, sia pure subordinati all’evento della nascita. Per l’Autore “l’appello al diritto” si rivolge contro l’art. 1 del Codice Civile e ne chiede la modifica.

La domanda che Carlo Casini pone è se il concepito è o non è un essere umano riconoscendo che sul punto vi è una pluralità di posizioni contro e a favore per questo “dunque nessuno abbia l’arroganza di imporre agli altri la propria opinione. Ognuno si comporti secondo la propria coscienza. La legge deve garantire la libertà di opinione di ciascuno. La legge totalitaria è quella che adotta come regola i sentimenti morali di una parte. Lo Stato che trasforma in legge una opinione morale, non è più laico, ma diviene un riprovevole stato etico”.

Di fronte a questa obiezione il diritto può dare un contributo specifico. La risposta potrebbe essere data dal binomio diritto e dubbio. Il diritto per sua natura è “guida all’azione” da realizzarsi subito e da non rimandare a quando potrà essere dissolto. Esso deve porsi come la forza del debole. Dunque la vita umana è la sua stessa ragione. Il dubbio sulla vita non può essere risolto dal diritto che a favore della vita.

La vita può essere abbandonata solo quando si dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che essa non c’è. L’onere della prova grava non su chi afferma la vita, ma su chi la nega. Si pensi all’istituto della morte presunta, oltre ogni ragionevole dubbio. Il minimo dubbio esige cautela, così per gli espianti e trapianti di organi la morte cerebrale deve essere accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Nel dubbio vale anche il principio di precauzione. Quando è in gioco la vita occorre garantire il massimo di cautela.

In conclusione l’appello al diritto resta credibile anche di fronte alla pretesa del dubbio. Anzi di fronte al dubbio il diritto offre un proprio contributo di razionalità e chiarezza a favore del concepito. “Trattare come persone” significa assorbire anche il dubbio usando come parametro di comportamento il concetto di persona.

In sede legislativa e giuridica “trattare come persone” significa riconoscere la capacità giuridica al concepito. Casini giunge a osservare che il fondamento dell’aborto legale non è la negazione dell’umanità del concepito, ma semmai l’affermazione della irrilevanza della questione relativa all’umanità del concepito. Se il concepito è un soggetto cambia tutto.

Parafrasando le parole di S. Giovanni Paolo II: “la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il suo è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritto umani. A essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono in particolare i bambini non ancora nati”, conclude Carlo Casini: “essi fanno appello al diritto”.

image_pdfimage_print
Author

Francesco Romano

Tutte le storie di: Francesco Romano