La continuità del Magistero dei papi su pace e guerra a partire da Benedetto XV

952 500 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli · Il magistero di papa Francesco sulla pace è segnato dalla tragica realtà di quella che lo stesso papa ha chiamato terza guerra mondiale a pezzi, realtà che si è esasperata con il precipitare della situazione nel conflitto russo-ucraino e in quello israeliano-palestinese. La presa di posizione di Francesco contro la guerra, la produzione e l’uso delle armi, come emerge dai suoi ripetuti interventi sui conflitti in atto, è radicale e si colloca in continuità, sviluppandolo, con il magistero portato avanti dai suoi predecessori, a partire dalla tragedia delle due guerre mondiali.

I primi interventi magisteriali sulla guerra e sulla pace collocabili in questa linea, di netto rifiuto della guerra, furono quelli di Benedetto XV. Egli, che aveva definito la Prima guerra mondiale un’«inutile strage», a guerra conclusa dedicò alla pace un’Enciclica, la Pacem, Dei munus pulcherrimum (1920). Egli affermò, fra l’altro, profeticamente: «se quasi ovunque la guerra in qualche modo è finita e sono stati firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antiche inimicizie; e voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, come nessuna pace possa consolidarsi, come nessuna convenzione possa valere, ancorché escogitate in diuturne e laboriose conferenze e solennemente sottoscritte, se contemporaneamente non si placano gli odi e i rancori per mezzo di una riconciliazione fondata sulla vicendevole carità»: Lettera Enciclica “Pacem, Dei munus pulcherrimum”

Importantissime furono, poi, le posizioni prese da Pio XII, il quale, all’indomani della Seconda guerra mondiale, proclamò che, anche nel caso della legittima difesa, va assolutamente bandito come crimine davanti a Dio l’uso di quegli armamenti la cui potenza distruttiva supera la possibilità di controllo umano e finisce per colpire soprattutto la popolazione civile (Allocuzioni del 3.10.1953: «anche in una guerra giusta e necessaria, le procedure efficaci non sono tutte difendibili agli occhi di chi possiede un senso esatto e ragionevole della giustizia»: AAS 45 [1953], p. 730; e del 30.9.1954: «Quando […] l’impiego di questo mezzo [le armi atomiche, batteriologiche e chimiche, n.d.r.] comporta una tale estensione del male che è completamente al di fuori del controllo dell’uomo, il suo uso deve essere respinto come immorale. Qui non si tratterebbe più della “difesa” contro l’ingiustizia e della necessaria “salvaguardia” dei beni legittimi, ma del puro e semplice annientamento di tutta la vita umana nel raggio dell’azione. Questo non è consentito per nessun motivo»: AAS 46 [1954], p. 589).

Giovanni XXIII, con l’Enciclica Pacem in terris (1963), aprì una nuova stagione di riflessione sulla pace, così come Leone XIII con la Rerum novarum ne aveva aperta una sulla questione sociale. Nell’Enciclica, la pace è vista come l’anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, che può realizzarsi soltanto nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio, concretamente traducibile nel riconoscimento e nel rispetto dei diritti umani. D’altra parte, data la terribile potenzialità distruttiva delle armi moderne, la guerra appare sempre più come qualcosa di profondamente irragionevole: «In un’epoca come la nostra che si gloria dell’energia atomica, è fuori della razionalità pensare che la guerra sia uno strumento adatto a restaurare i diritti violati» (Enchiridion vaticanum, II, 43).

La Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, sviluppando le intuizioni profetiche di Giovanni XXIII, offre una vera e propria teologia d’ispirazione biblica sulla pace, intesa non come semplice assenza di guerra ma come opera della giustizia (n. 78). Pur non ignorando i conflitti che dilaniano l’umanità segnata dal peccato, la Costituzione conciliare indica la meta di una riconciliazione da perseguire incessantemente attraverso la promozione della fratellanza universale, nella giustizia e nell’amore. Nel documento troviamo, poi, due condanne inappellabili, quella dell’utilizzo di armi nucleari e quella di azioni belliche che comportino stragi indiscriminate (n. 80).

Secondo alcuni interpreti, nella Guadium et spes non comparirebbe la dottrina della guerra giusta. Il documento si limiterebbe a riconoscere la plausibilità della legittima difesa (n. 79), principio che differisce profondamente, in senso restrittivo dalla dottrina tradizionale della guerra giusta. La legittima difesa implica infatti un’aggressione attuale ingiusta a cui è lecito contrapporsi, non in ogni caso o a qualsiasi prezzo, bensì soltanto nell’ambito di una severa proporzionalità tra i beni che si intende difendere e il male che ragionevolmente si prevede di arrecare alla famiglia umana.

Il magistero di Paolo VI sulla pace si è sviluppato sulla linea della Gaudium et spes. Sono da segnalare in modo particolare il discorso tenuto all’ONU del 4 ottobre 1965 con l’accorato appello: «mai più la guerra» (Enchiridion vaticanum, I, 384*.); gli undici messaggi per la giornata mondiale della pace (1968-1978); l’Enciclica Populorum progressio nella quale si proclama che il nuovo nome della pace è lo sviluppo; il messaggio all’ONU La santa Sede e il disarmo del 24.5.1978.

Una sintesi del magistero montiniano, considerato come uno sviluppo della dottrina conciliare, può essere articolata in quattro punti. 1. La distruttività della guerra moderna impone di limitare l’uso delle armi alla sola azione difensiva. Tuttavia, anche in questo caso rimangono incondizionatamente proibiti l’attacco deliberato contro i non combattenti e l’impiego di mezzi sproporzionati. 2. La dissuasione mediante l’equilibrio del terrore non fonda una pace vera e stabile. Tale dissuasione è tuttavia moralmente accettabile come condizione provvisoria in vista di un disarmo verso cui tendere concretamente. 3. La corsa agli armamenti deve essere condannata come «un pericolo», «un’ingiustizia», «un errore», «una colpa» e «una pazzia». 4. Si deve essere consapevoli che non ci si può limitare a proscrivere la guerra né a definire i confini della sua legittimità, ma che si deve concretamente lavorare per la pace attraverso l’impegno per una più giusta distribuzione delle risorse nell’economia mondiale, per il rispetto dei diritti umani, per la costruzione di una comunità mondiale dotata di vera autorità sugli Stati (Cf. G. Mattai, Guerra, in F. Compagnoni – G. Piana – S. Privitera, Nuovo dizionario di teologia morale, Cinisello Balsamo 1990, p. 545.).

Il magistero di Giovanni Paolo II ha proseguito su questa linea. Ricco di sfumature e più parenetico che normativo, l’insegnamento sulla pace di papa Woitila andrebbe studiato a fondo, seguendone lo sviluppo attraverso la parabola di discorsi e interventi spesso condizionati da eventi drammatici, come le due guerre del golfo e la guerra in Bosnia contraddistinta dagli orrori della cosiddetta pulizia etnica e dalla tragedia della città Sarajevo. Si tratta di un magistero fatto non soltanto di parole ma anche di gesti. Si pensi agli incontri di Assisi (1986/2002): per la prima volta nella storia della Chiesa i rappresentanti delle maggiori religioni furono invitati dal papa per ritrovarsi insieme a pregare per la pace.

Giovanni Paolo II, in occasione della crisi del Golfo nel 1991, giunse fino a chiedere la totale proscrizione della guerra (Discorso al Corpo Diplomatico, 11.1.1991, in «L’Osservatore Romano», 13.1.1991, p. 5.). Ma, di fronte al genocidio che si consumava in Bosnia nel 1992, la Santa Sede sollecitava l’ingerenza umanitaria da parte degli stati europei e delle Nazioni Unite per disarmare gli aggressori (La documentation catholique, 20.9.1992).

A caratterizzare gli interventi di Giovanni Paolo II sulla guerra è quella stessa tensione profetica che si trova nella Gaudium et spes e nel magistero di Paolo VI. Essa si esprime nella ricerca di alternative migliori all’uso della violenza, che vadano nella direzione del Regno di pace e di giustizia già iniziato con l’incarnazione ma che deve compiersi nella parusia, pur nella consapevolezza che, per il mistero dell’iniquità, la violenza e il conflitto sono presenti nella storia e non si può escludere in senso assoluto un uso della forza, nel caso dell’autodifesa di una nazione aggredita e anche nel citato caso di un’ingerenza umanitaria, sotto il controllo di un’autorità sopranazionale, di fronte situazioni estreme di abuso nei confronti di stati o gruppi etnici più deboli.

Nella circostanza della seconda guerra del Golfo il papa ha mostrato di guardare con favore alla grande mobilitazione generale contro la guerra, ma ha anche ribadito che la «pace non è semplice assenza di guerra» (vedi). Mobilitarsi per la pace comporta necessariamente un impegno per una giustizia maggiore, la cui mancanza è il vero tradimento della pace, impegno che comincia da una conversione personale e da un cambiamento dello stile di vita.

Benedetto XVI si è collocato nel solco di Giovanni Paolo II come si evince dagli otto titoli dei messaggi per la giornata della pace che Benedetto ha scritto nel corso del suo pontificato: Nella verità, la pace (2006); La persona umana, cuore della pace (2007); Famiglia umana, comunità di pace (2008); Combattere la povertà, costruire la pace (2009); Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato (2010); Libertà religiosa, via per la pace (2011); Educare i giovani alla giustizia e alla pace (2012); Beati gli Operatori di Pace (2013).

Particolarmente indicativo è il primo messaggio, del 2006, intitolato Nella verità, la pace. Significativo, perché l’accento sulla verità è, si può dire, un elemento caratterizzante del magistero di papa Ratzinger. Ma – si chiede il papa – «quali significati intende richiamare l’espressione “verità della pace”? Per rispondere in modo adeguato a tale interrogativo, occorre tener ben presente che la pace non può essere ridotta a semplice assenza di conflitti armati, ma va compresa come “il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore”, un ordine “che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta” (GS 78)». (vedi).

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