Prima che l’abuso accada. La finestra del padre.

500 500 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli · Salvatore Franco è un sacerdote religioso dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, psicologo e psicoterapeuta, ha svolto il suo servizio soprattutto a Palermo, prima nel quartiere Albergheria, per occuparsi particolarmente di immigrati extracomunitari e di attività educative per minori, e poi nel Consultorio Familiare “Cana” dove si è preso cura di diversi adulti che avevano vissuto l’abuso sessuale da piccoli. Attualmente vive nella sua comunità a Messina, dove è coordinatore della rete di professionisti “Ministri di misericordia”. È referente diocesano per la Tutela dei Minori e delle persone vulnerabili, coordinatore del corrispettivo Servizio Regionale e membro del consiglio di presidenza del Servizio Nazionale.

Il suo libro, Prima che l’abuso accada. La finestra del padre, pubblicato nel 2021 per Sugarco Edizioni, intende contribuire a far luce sul fenomeno degli abusi sui minori, in particolare degli abusi compiuti da preti cattolici; ma, soprattutto, come emerge dalla prima parte del titolo, vuole proporre un possibile percorso di prevenzione degli abusi medesimi, con una particolare attenzione alla formazione dei futuri presbiteri. Prima che l’abuso accada, appunto.

Il percorso che l’autore propone, come evidenzia la seconda parte del titolo (La finestra del padre), è quello di una rinnovata educazione alla paternità, capace di ispirarsi idealmente alla figura paterna della nota parabola del padre misericordioso, narrata dal Vangelo di Luca (Lc 15, 11-32), contrapponibile alla figura di Laio, perverso padre “figlicida”, nonché vittima dello stesso suo figlio, Edipo, secondo la tragedia greca. Alla base della dinamica dell’abuso, in particolare di quello commesso da un prete, sarebbe infatti da ravvisare una sorta di perversione della paternità. «Quella del sacerdote che abusa è in definitiva una particolare “paternità perversa”, e quindi distorta, fallimento e tradimento di una vocazione e di un compito essenziale umano, ma anche della verità e del valore della sessualità e della persona umana» (p. 17).

Salvatore Franco elabora la sua riflessione, con un metodo – per così dire – transdisciplinare, che mette in dialogo letteratura clinica, cultura letteraria, ermeneutica teologica e altro ancora, in una sintesi non di rado impegnativa per il lettore, talvolta audace (come quando si parla della dissociazione in termini di “prospettiva rovesciata” citando Le porte regali, di Pavel Florenskij: p. 63), ma senz’altro originale, stimolante e non priva di fascino.

Il libro è suddiviso in cinque parti. Nelle prime tre (I: Pervasioni; II: Dissociazioni; III: Inganni) si traccia una sorta di fenomenologia dell’abuso e si considerano le possibili ragioni della sua insorgenza. Nelle ultime due (IV: Sguardi; V: Incroci) si riflette, invece, sul possibile sviluppo di una paternità autentica e virtuosa, e sulla sua importanza in chiave preventiva.

Il saggio parte, dunque, dallo studio clinico della tendenza pervasiva all’abuso, evidenziando esperienze di attaccamento, meccanismi psichici (in particolare meccanismi dissociativi), dipendenze e tratti di personalità che stanno alla base dei comportamenti abusivi sui minori. Su questa base la riflessione si addentra nello specifico del fenomeno degli abusi commessi dal clero, cogliendone le analogie con quelli intra-familiari. Va detto, fra l’altro che, «nel caso dei sacerdoti, non è corretto parlare genericamente di “pedofilia” ma sarebbe più preciso parlare, per la maggior parte dei essi, piuttosto di “efebofilia”» (p. 106) o di abusi collegabili a tendenze sessuali «in senso generalmente polimorfo» (p. 110). Appare rilevante, a questo proposito, la considerazione dei fattori specifici che possono contribuire a condizionare negativamente lo sviluppo psicosessuale dei candidati al ministero ordinato e a facilitare l’assunzione di modelli comportamentali tossici, quali forme di dominio psicologico, di passività e dipendenza. Particolarmente problematici appaiono, oltre ai soggetti con struttura di personalità borderline, coloro che presentano tratti narcisistici di personalità, come hanno messo particolarmente in evidenza anche Amedeo Cencini e Stefano Lassi nel Sussidio a cura del Servizio Nazionale per la Tutela di Minori della CEI, La formazione iniziale in tempo di Abusi (2021). «Tali tratti sembrerebbero poi amplificati dall’assunzione del ruolo sacerdotale: l’essere al centro dell’attenzione, essere considerati con un’aura sacra, avere un certo potere sulle coscienze, porsi come “maestri” ecc… sono tutti aspetti che alimentano la “fame” narcisistica di questi soggetti che portano con sé l’eredità di storie e relazioni familiari sofferte» (p. 104). «Nelle storie di molti sacerdoti autori di abuso su minori non è in effetti infrequente trovare una carenza della figura paterna […] e quindi […] una “fame del padre” collegata a una struttura narcisistica della personalità». Così, l’essere “padre” da parte del sacerdote «sembrerebbe da una parte sublimare la problematica della mancanza del padre ma al tempo stesso amplificarla» (p. 119). «Il comportamento dei sacerdoti abusatori presenta dunque il più delle volte una sua valenza incestuale che precede l’abuso stesso e può presentarsi sotto varie forme anche molto sottili e “invisibili” […]. Prima della perversione sessuale, infatti, vi è quella della personalità per cui possiamo parlare di una personalità narcisistica […] che conduce alla manipolazione, alla seduzione e all’abuso psicologico e talvolta al plagio per poi divenire, a seconda dei casi, vero e proprio abuso sessuale» (p. 123).

Rivisitando, con sguardo originale, il mito tragico di Laio e di Edipo, l’autore concentra quindi l’attenzione sul «fallimento della paternità con l’inganno del mancato riconoscimento dell’immagine del figlio e le conseguenti errate e disfunzionali identificazioni del figlio con la figura paterna». Proprio «questo “inganno originario”, circa l’immagine di sé e quella paterna», costituirebbe «il centro del sistema dell’abuso sessuale maschile». Ma, soggiunge Salvatore Franco, anticipando nell’Introduzione la parte più propositiva della sua riflessione, se s’intuisce «dov’è l’inganno, allora è possibile volgersi più decisamente verso la verità delle cose e cambiare il futuro, al di là delle profezie funeste! Al trivio, dove si erano infatti incontrati Laio ed Edipo, era rimasta inesplorata una terza strada. Sarà proprio una terza strada che verrà seguita a questo punto finale del percorso: essa riporterà in superficie, alla luce del sole, dove si giungerà finalmente alla “finestra del padre”, il luogo dove, nella storia del figliol prodigo narrata nel Nuovo Testamento, viene descritto il sorgere della paternità dalle profondità di un uomo (Lc 15,20)» (p. 18).

L’evocazione di una «terza strada» non può non richiamare alla mente la fortunata riflessione di Massimo Recalcati sull’eclissi del Padre e sulla sua funzione simbolica in rapporto alla Legge nella società ipermoderna, il quale prospetta una «terza via» fra la nostalgia del pater familias e l’enfatizzazione elogiativa e cinica del godimento pulsionale più immediato (M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Milano 2011). In effetti, per Salvatore Franco, il padre della parabola lucana può essere inteso come colui che, per dirla con le categorie di Recalcati, «incarna la coniugazione tra la legge e il desiderio e, in questo modo, diviene anche “donatore” del figlio a se stesso perché lo “lascia essere” e, proprio così, fa di lui l’erede di ciò che egli ha conquistato e maturato come uomo» (p. 204).

Per il nostro autore, anche il sacerdote, come ogni uomo, ha «la necessità di far sviluppare la sua propria dimensione di paternità nel dono di sé, secondo una sua specifica modalità che egli dovrebbe incarnare, grazie all’ordinazione sacerdotale, in un orizzonte più vasto, oltre i confini biologici» (p. 202).

L’accorata consapevolezza della necessità d’imparare a donarsi per essere autenticamente padri, a fronte dell’inadeguatezza a sostenere in tale compito dimostrata, con una “tragica” eterogenesi dei fini, dalle strutture di formazione ecclesiastiche, ha ispirato, a mio avviso, le considerazioni più pregnanti del libro.

«La necessità di apprendere a vivere questo tipo di paternità richiede una ancor più ampia preparazione se consideriamo come già normalmente i padri arrivano sovente ad assumere il loro ruolo genitoriale con scarse competenze ed esperienze di cura e di attenzioni verso gli altri […]. Se poi teniamo conto anche che, a causa di meccanismi psichici patologici, la paternità sacerdotale può finire non solo per rimanere immatura, inespressa e sterile […], ma anche per divenire “perversa”, allora diviene urgente ritrovare e reinventare un modo di essere padri fondato sulla dimensione del dono di sé ancor più profonda e di cui la biologia abbiamo visto esserne simbolo e significato fondamentale al di là delle concezioni sociali o dei vissuti di ciascuno […]. Fuori dalla dinamica del dono di sé il sacerdote si trova infatti incastrato tra un modello gerarchico e monocratico, in cui impera centrale la dimensione del ruolo e del dominio sulle coscienze, e un modello, se pur più aderente al contesto sociale attuale, che disconosce, di fatto, la funzione paterna e quindi lo lascia in preda al senso di inefficacia e di solitudine.

In entrambi questi casi si assiste dunque ad una crisi della paternità: nel primo prevale la dimensione narcisistica, […], mentre nel secondo prevale la dimensione borderline della inconsistenza di limiti, per la quale si oscilla tra desiderio affettivo e di intimità e paura di perdere il controllo, con l’emersione dell’angoscia del sentirsi messi da parte o abbandonati.

Occorre dunque avviare una ricerca di nuove forme di paternità che implichi il tramonto di un’immagine del sacerdote e del padre sempre “perfetto”, migliore degli altri uomini, che ha l’ultima parola su tutto, che sa rispondere a tutte le domande, che troneggia nel suo mondo, lontano dalle reali problematiche umane e dalle contraddizioni della vita e finisce per essere retorico e astratto nelle sue affermazioni» (pp. 202-203).

Occorre prospettare la possibilità di un modo nuovo di essere guide del gregge, che nasca «dalla lunga e intensa frequentazione dell’essere umano, dall’ascolto delle sue profondità, dal cadere e rialzarsi con lui», e che trovi appoggio, non sulla pretesa di arrogarsi «il titolo di “guide” o “maestri” e nemmeno “padri”» ma, piuttosto, sull’essere testimoni «della paternità divina, intravista nelle profondità del proprio essere e attraverso i propri limiti». Potrebbe, in effetti, essere «intesa in questo senso l’affermazione del Cristo: “Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbi’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il padre vostro, quello celeste…” (Mt 23,9-8)» (p. 208).

L’auspicio, che il nostro autore formula, è che possa essere «questa allora l’alba, per sacerdoti e per laici, di un ritorno del padre che sia anche nuovo “avvento del padre”, […]. Sarebbe questo il padre che fonda la sua paternità, e il ruolo che ne consegue, sul rango dell’amare per primo e non sull’essere amato dal figlio, che ha il coraggio di limitarsi prima di vietare e limitare, che sa chiedere perdono per poter perdonare, che sa perdere senza appropriarsi degli altri per desiderare, e che ritorna, ogni volta, ad avere “fede” nella vita e nel bene da trasmettere alle nuove generazioni» (pp. 203-204).

Dunque, per Salvatore Franco, la «paternità sacerdotale che pur ha fallito in tante esperienze come miseramente in quella dell’abuso, ma che sempre conserva e vive fulgidi esempi, potrebbe offrire il suo specifico e originale contributo affinché ognuno, a suo modo, possa ancora trovare dentro di sé, anche con l’aiuto degli altri, questa stessa dimensione, pur se nella sua vita può aver avuto genitori che abbiano fallito in questo compito o avervi fallito egli stesso a più livelli o, come più spesso può accadere, essere incorso in entrambe le possibilità […].

La paternità sacerdotale potrebbe quindi contribuire, in questo modo, alla maturazione della paternità umana nel mondo e ad interpretarla in funzione non solo dei cambiamenti sociali e culturali, ma anche della legge più profonda inscritta e simboleggiata nella natura psicobiologica e nel proprio bagaglio culturale, religioso e spirituale» (p. 206).

Alla fine del percorso, l’autore prospetta cinque dimensioni essenziali che le i percorsi di formazione ad un’autentica paternità sacerdotale dovrebbero considerare: 1) riappropriazione del contatto con se stessi e quindi con il proprio corpo e la propria interiorità; 2) guarigione dal narcisismo attraverso esperienze orientate all’acquisizione di un’immagine più appropriata di sé; 3) educazione a stare nella verità e a riconoscere le diverse parti di sé; 4) sviluppo della paternità; 5) guarigione della sessualità (cf. pp. 212-214).

La sostanza del libro appare dunque un invito, appassionato e al tempo stesso razionalmente ponderato, ad accogliere la sfida di ritrovare, con umiltà e con speranza evangelica, il senso della paternità, proprio in un tempo e in orizzonte culturale pesantemente condizionati dagli effetti di ciò che, ormai undici lustri or sono, Jacques Lacan definì come “l’evaporazione del padre”.

Ritengo del tutto condivisibile il giudizio di Hans Zollener, riportato in quarta di copertina: «Il testo di Salvatore Franco affronta un tema scomodo, la cui trattazione incontra ostacoli culturali sistemici e individuali. Il mio augurio è che trovi ampia diffusione e contribuisca a una presa di coscienza e favorisca un atteggiamento pro-attivo nella creazione di un ambiente sicuro nella Chiesa e nella società».

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