Guerre, democrazia e umanità ferita. La profezia inascoltata di Papa Francesco

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di Antonio Lovascio · “Siamo nella terza guerra mondiale, ma a pezzi”. E’ una metafora che purtroppo resiste ancora e oggi spinge Papa Leone XIV a indignarsi dopo i bombardamenti Usa e israeliani in Iran e dire che il suo “cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente devastato dal dilagare dei combattimenti”. Sono trascorsi 11 anni da quando, nell’agosto del 2014, sull’aereo che lo riportava a Roma dalla Corea del Sud, papa Francesco avvisò per la prima volta il mondo che la Terza Guerra Mondiale era cominciata, ma che nessuno se ne era accorto appunto perché si sviluppava “a pezzi”. Allora i conflitti erano ancora pochi, ma confermando quella che oggi sembra una drammatica profezia sono diventati 56 e coinvolgono 92 Paesi: è il più alto numero dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi il mondo è attraversato da un paradosso inquietante: da un lato la globalizzazione e l’interconnessione tra popoli; dall’altro, il ritorno prepotente della guerra come strumento ordinario di risoluzione dei conflitti, come documenta con lucidità e rigore l’ultimo Rapporto Caritas, “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”, numeri, testimonianze e confronti che raccontano un pianeta sempre più diseguale, armato e silenzioso. Nel 2024, secondo il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) le vittime dirette delle guerre sono state 170.700, il dato più alto dal 2019. Le missioni di pace calano, mentre la spesa militare globale tocca il record di 2.443 miliardi di dollari. Per la prima volta dal 2009, cresce in tutti i continenti: il 2,3% del PIL mondiale, 306 dollari pro capite.

Il Democracy Index 2024 evidenzia con chiarezza la stretta relazione tra conflitti armati e degrado democratico. I sei Paesi protagonisti dei conflitti più cruenti – Myanmar, Sudan, Israele, Palestina, Russia e Ucraina – mostrano un livello estremamente basso o compromesso di democrazia, secondo i dati dell’Economist Intelligence Unit. Questi dati non sono solo una fotografia del presente, ma un allarme strutturale lanciato dagli esperti: là dove la guerra si radica, la democrazia si spegne. I conflitti armati si sviluppano spesso in assenza di istituzioni legittime e trasparenti; al contempo, una democrazia debole è più esposta al rischio di conflitto. La guerra e la democrazia non sono solo in contrapposizione: la prima, nella sua brutalità, è spesso causa e conseguenza dell’erosione della seconda.

Dovrebbero risvegliare le coscienze, soprattutto quelle dei governanti, le domande poste negli ultimi giorni da Papa Leone XIV , che suonano come un j’accuse: «Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?». Interrogativi che chiamano in causa quanti governano gli Stati che tengono alla fame i popoli, ma spendono risorse considerevoli negli armamenti; e anche gli stessi Paesi dell’Europa che hanno varato l’ingente e costosissimo piano di riarmo del Continente. «La gente – sostiene Leone XIV – è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti».

Le parole di Prevost si inseriscono sulla scia del magistero dei Papi che lo hanno preceduto: da Francesco che considerava la vendita delle armi «la peste più grande del mondo», a Paolo VI che nel suo intervento del 1965 all’Onu affermava: «Non si può amare con armi offensive in pugno». Leone XIV si rivolge ancora alla politica quando tiene a far sapere che c’è un «un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile». Quindi il richiamo al «dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione» e a uscire «dalle logiche della divisione e della ritorsione». Ed a tutti i cristiani la raccomandazione di essere “artigiani di pace”.

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Antonio Lovascio

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