Il coraggio della comunicazione

275 183 Alessandro Clemenzia
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di Alessandro Clemenzia · La comunicazione è tutt’altro che una successione, seppure sensata, di parole; soprattutto da un punto di vista antropologico, essa contiene in sé una forza costitutiva, sia per le singole persone, sia per la relazione tra loro. Comunicare è porre per sé e per l’altro un nuovo inizio.

E l’inizio, per il grande Romano Guardini, era inteso come “salto originario” (“Ur-Sprung”) e come “novità primordiali” (“Ur-Neues”). In questa luce può anche essere compresa quella comunicazione di Dio che, attraverso la sua Parola, ha portato all’esistenza tutto ciò che prima ancora non era, e ha continuato incessantemente a comunicare con l’uomo, rivelandogli la profondità della realtà divina e di quella umana. Fino al culmine: quando la stessa Parola si è fatta “carne”. Dal principio, dunque, era la comunicazione: un incessante inizio, inteso come salto e novità, forza interiore e dinamica capace anche di correre il rischio di una mancata corrispondenza da parte dell’interlocutore.

Tutto questo non può non incidere su una prassi della comunicazione. Interessanti, a tale proposito, sono le parole che Papa Francesco ha pronunciato nel suo discorso ai dipendenti e ai partecipanti all’assemblea plenaria del Dicastero per la Comunicazione, tenuto nella sala Clementina il 12 novembre scorso. In questa occasione il Papa ha parlato a braccio, consegnando poi il testo scritto che aveva preparato e che verteva proprio su una teo-logica della comunicazione, in vista di una nuova prassi. Il tema dell’assemblea era: “Sinodo e comunicazione: un percorso da sviluppare”.

Un primo elemento sottolineato da Francesco, nel suo discorso a braccio, riguarda la comunicazione come evento relazionale. Colui che comunica non può accontentarsi di soffermare la propria attenzione soltanto sulle informazioni da dare; è fondamentale anche tenere conto di quanto la propria parola sia capace di costituire una nuova relazione. Per questa ragione, spiega il Papa, «un comunicatore vero deve essere attento al ritorno, a quello che viene, alla reazione che provoca quello che io dico. Perché la comunicazione è un collegamento umano». Questa relazione dialogica, concentrata più sull’ascolto che sul parlare, afferma qualcosa di interessante sulla natura della comunicazione: essa ha una sua performatività che la rende capace di generare nell’interlocutore qualcosa che ha a che fare con il contenuto comunicato, tanto da spingerlo a fare qualcosa (è il “ritorno” di cui parla il Papa).

La comunicazione, dunque, è un vero e proprio inizio relazionale, è – recuperando le parole già citate di Guardini – un “salto originario”.

Dopo aver soffermato l’attenzione sulla comunicazione come evento relazionale, il Papa si è concentrato sull’importanza del ruolo dei valori in colui che parla, il quale è chiamato a mettersi costantemente in gioco, andando oltre un certo atteggiamento asettico: «Andare, camminare, rischiare, con i valori, convinto che sto dando la mia vita con i miei valori, i valori cristiani e i valori umani». L’invito che il Papa rivolge a tutti coloro che sono impegnati in questo ambito così delicato, dunque, è quello di sentirsi dentro ciò che viene comunicato.

Quanto Francesco ha affermato a braccio introduce perfettamente nel testo scritto, toccando più da vicino il rapporto tra comunicazione e sinodalità. «Il Sinodo non è un semplice esercizio di comunicazione, e nemmeno il tentativo di ripensare la Chiesa con la logica delle maggioranze e delle minoranze che devono trovare un accordo […]: esso ha lo scopo di ascoltare, capire e mettere in pratica la volontà di Dio». Una volontà che ha sempre a che fare con la Chiesa nella sua interezza e che la raggiunge proprio in quel “camminare insieme” di tutto il popolo di Dio. In questo senso, «il contributo della comunicazione dovrebbe essere quello di rendere possibile questa dimensione comunionale, questa capacità relazionale, questa vocazione ai legami. […] La comunicazione è, per così dire, l’artigianato dei legami, dentro i quali la voce di Dio risuona e si fa sentire».

Da qui il Papa indica al Dicastero alcune sfide: in primo luogo, quella di rendere le persone meno sole, non attraverso un semplice intrattenimento, ma entrando nella realtà concreta e «intercettando le grandi domande degli uomini e delle donne di oggi». In secondo luogo, dare voce a chi non ha voce, abitando quelle periferie esistenziali fatte di diversi tipi di povertà. In terzo luogo, educarsi alla fatica del comunicare, soprattutto a causa delle diverse tensioni interne e dei numerosi fraintendimenti presenti anche all’interno della Chiesa. In questo senso, conclude il Papa, «la comunicazione deve rendere possibile anche la diversità di vedute, cercando però sempre di preservare l’unità e la verità, e combattendo calunnie, violenze verbali, personalismi e fondamentalismi che, con la scusa di essere fedeli alla verità, spargono solo divisione e discordia».

Papa Francesco ha così indicato al Dicastero per la Comunicazione come il suo lavoro sia tutt’altro che tecnico, e abbia pienamente a che fare con quel “camminare insieme” di tutto il popolo di Dio.

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