«Era perduto ed è stato ritrovato». Note su una parabola

625 500 Stefano Tarocchi
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rembrandt_il_figliol_prodigodi Stefano Tarocchi • Una delle pagine più commoventi (e più alte) della letteratura di ogni tempo, la terza delle tre parabole della misericordia del capitolo 15 del Vangelo secondo Luca, deve essere letta ai giorni nostri con un doppio scarto rispetto al tradizionale titolo del “figlio prodigo”.

Il primo scarto sarà quello linguistico: oggi nessuno, o quasi, comprende il vocabolario desueto della prodigalità, che peraltro è solo una conseguenza delle azioni del figlio minore del testo lucano (esiste anche il figlio maggiore!). E comunque questo figlio, che ha la «tendenza a spendere o a donare con larghezza eccessiva e senza riflessione» è un esempio di sperpero dissennato. Lo dice la stessa narrazione evangelica per ben due volte: «là – nel paese remoto dove ha scelto di vivere la sua vita, lontano dal padre e dalla famiglia – sperperò il suo patrimonio (lett. “la sua esistenza”) vivendo in modo dissoluto (lett.: “senza speranza di salvezza”); «ha divorato le tue sostanze (lett. “la tua vita”) con le prostitute» (Lc 15,13.30). Non potrebbero esserci verbi più eloquenti di questi ultimi due nel descrivere l’uso dei beni che ha fatto questo figlio

Questo figlio aveva voluto conoscere il mondo: un «paese lontano», fuori dalla terra di Israele – infatti vi si allevano i porci – «fuori dal perimetro chiuso del sistema familiare». Inoltre «il suo viaggio inizia con un atto di violenza, uno strappo alla legge»: ecco così l’imperativo «dammi», capace di provocare «una rottura irreversibile» (Massimo Recalcati).

Il padre narrato dalla parabola ha lasciato che si compisse fino in fondo la richiesta di avere accesso al suo patrimonio e quindi decidere un’esistenza distante da lui: «“padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze (lett. “la sua vita”)» (Lc 15,1-2).

Quando tuttavia il figlio ritorna, dopo aver provato tutte le conseguenze della sua libertà dissennata e dissipata, ciò che era irreversibile si apre in maniera inattesa. Il suo viaggio lontano da casa si conclude con la riconciliazione, dapprima con il padre, e poi, attraverso lui, con il fratello.

Si potrebbe scrivere che «Dio è colui che «ha preso [questo suo figlio] con un amo invisibile e con una lenza invisibile, che è abbastanza lunga per lasciarlo vagare sino ai confini del mondo, e, tuttavia, riportarlo indie­tro con una sola tirata del filo» (Gilbert Keith Chesterton).

Il secondo scarto, secondo il percorso che ho voluto evidenziare nel rileggere questa parabola, sarà quello di indicare il vero protagonista della parabola: il padre che, rivolgendosi al figlio maggiore, che gli ha appena detto «è tornato questo tuo figlio» (Lc 15,30), riassume il senso profondo del testo evangelico: «“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Lc 15,31). È solo il padre a restituire ad ognuno dei suoi due figli la loro vera natura di comunione: due fratelli e non solo «tuo figlio», come vorrebbe l’orizzonte gretto del maggiore. Dopo aver accettato il perdono del figlio minore, il padre insegna all’altro che cosa significa essere riconciliato, nella festa senza limiti della misericordia divina: «portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso (lett. “nutrito con il frumento”, che rende la sua carne tenera”), ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa» (Lc 15,22-23).

Forse è vero che se «nessuno sopporta di non essere perdonato: soltanto Dio ne è capace», come ha scritto Graham Greene.
Così, come nel celebre dipinto di Rembrandt, si svelano anche lo spessore e la complessità della figura del padre, rappresentato appunto con una mano di uomo e una di donna. Dio che è padre e anche madre.
Il percorso della parabola evangelica si centra su un perenne percorso dove liberamente ciascuno dei figli deve ricuperare sé stesso di fronte al padre, e al cielo, che egli rende presente.

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Stefano Tarocchi

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