Quando anche il tempo diventa un oggetto di consumo

199 308 Stefano Liccioli
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esselungaopinionidi Stefano Liccioli • Capita sempre più spesso che sui giornali e non solo tengano banco dibattiti sull’opportunità che negozi e supermercati siano aperti anche la sera, magari fino a mezzanotte o oltre. Abituati ormai a vedere persone che di domenica vanno a fare la spesa nei grandi centri commerciali, sembra infatti che stia cadendo un altro muro temporale. Le polemiche sovente si concentrano su questioni sindacali, ma sono in gioco, a mio parere, anche problematiche più ampie, direi antropologiche, oltre che a quelle religiose, facilmente intuibili.

Pare che ormai il tempo non basti più, che ventiquattro ore siano insufficienti a fare tutto quello che c’è da fare quotidianamente. Se da una parte possono esserci motivazioni contingenti, più o meno giustificabili, che portano le persone a chiedere aperture più prolungate dei supermercati (ad esempio in molte famiglie lavorano sia il marito che la moglie e non hanno modo di fare acquisti, magari anche necessari, se non in tardi orari), d’altra parte si sta affermando, secondo me, un paradigma per cui anche il tempo è diventato un oggetto di consumo, qualcosa da spremere e da riempire in ogni istante. Siamo presi da un attivismo sfrenato, dettato forse dalla paura di fermarsi a riflettere e dalla convinzione più o meno inconscia che solo il fare, il produrre ci faccia sentire vivi. E non è un problema solo degli adulti, basta guardare le “agende” dei bambini per vedere che questa mentalità viene costruita fin da piccoli, incastrati tra mille impegni ed attività.

A questo proposito ho trovato illuminanti alcune considerazioni che San Giovanni Paolo II fece nella lettera apostolica “Dies Domini” sulla santificazione della domenica. Oggetto della lettera non è soltanto l’importanza di riconoscere il giorno del Signore, ma ci sono anche alcune riflessioni generali sul valore del riposo settimanale e direi anche del sapersi fermare all’interno di una giornata, molto opportune, anche da un mero punto di vista antropologico. Ha afferma il Papa:«Attraverso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti quotidiani possono ritrovare la loro giusta dimensione: le cose materiali per le quali ci agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le persone con le quali viviamo riprendono, nell’incontro e nel dialogo più pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura — troppe volte sciupate da una logica di dominio che si ritorce contro l’uomo — possono essere riscoperte e profondamente gustate».

Per un cristiano, poi, il riposo settimanale non è un semplice week-end o qualunque interruzione del lavoro, ma è visto essenzialmente in rapporto a Dio per celebrare la Sua salvezza, come momento per riscoprire i valori dello spirito, il dialogo e la solidarietà con i fratelli, per attenuare il peso delle preoccupazioni quotidiane, per ritrovare gioia e speranza. Ha osservato ancora San Giovanni Paolo II:«Il riposo è cosa “sacra”, essendo per l’uomo la condizione per sottrarsi al ciclo, talvolta eccessivamente assorbente, degli impegni terreni e riprendere coscienza che tutto è opera di Dio. Il potere prodigioso che Dio dà all’uomo sulla creazione rischierebbe di fargli dimenticare che Dio è il Creatore, dal quale tutto dipende. Tanto più urgente è questo riconoscimento nella nostra epoca, nella quale la scienza e la tecnica hanno incredibilmente esteso il potere che l’uomo esercita attraverso il suo lavoro».

L’augurio che, attraverso questa rivista, rivolgo a tutti i lettori è di sapere usare dei giorni estivi per rigenerare davvero il corpo e lo spirito. Anche nelle vacanze ci può essere infatti il rischio di un attivismo che stressa e non rilassa le persone. Facciamo invece nostro l’invito che Gesù propose agli apostoli:«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6,30).

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Stefano Liccioli

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