La fiamma della fede. Un’intervista al cardinale Péter Erdő

200 300 Giovanni Campanella
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peter_erdo-368x233di Giovanni Campanella Nell’estate del 2011 e qualche anno dopo, il giornalista statunitense Robert Moynihan, fondatore della rivista Inside the Vatican, ha intervistato il Cardinale Péter Erdő interrogandolo su vari argomenti, personali e dottrinali, e fornendo così un ricco quadro della vita e del pensiero del primate d’Ungheria. Queste interviste sono state poi curate da Viktoria Somogyi, giornalista ungherese, collaboratrice di Inside the Vatican ed esperta di cultura ungherese. Il tutto è confluito in un libro pubblicato nel Luglio 2015 dalla Libreria Editrice Vaticana col titolo La fiamma della Fede – Un dialogo con il cardinale Péter Erdő con prefazione del Cardinale Angelo Sodano.

Il cardinale Péter Erdő è nato a Budapest il 25 giugno 1952, primo di sei figli in una famiglia di intellettuali cattolici. Il 18 giugno 1975 riceve l’ordinazione sacerdotale e il 6 gennaio 2000 riceve l’ordinazione episcopale da San Giovanni Paolo II a Roma. «Il 7 dicembre 2002 viene nominato arcivescovo di Esztergom-Budapest e, in pari tempo, primate d’Ungheria. Nel concistoro del 21 ottobre 2003 è creato cardinale del titolo di Santa Balbina. Nel 2005 è stato eletto presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, ed è stato rieletto nel 2010 per altri cinque anni. Nel 2006 è diventato presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, rieletto nel 2011. Ha svolto una poderosa attività di letteratura scientifica che ha portato come frutto circa duecentocinquanta saggi e venticinque volumi nell’ambito del diritto canonico e della storia medievale del diritto canonico. Ha pubblicato anche diversi volumi di cultura e spiritualità. Il 14 ottobre 2013 Papa Francesco lo ha nominato Relatore generale per la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema: Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (Vaticano,5-19 ottobre 2014); incarico rinnovato anche per la XIV Assemblea Generale Ordinaria, sul tema: La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo (Vaticano, 4-25 ottobre 2015)» (copertina).

Le prime 70 pagine del libro sono incentrate sulla storia del cardinale, partendo dalla descrizione della sua famiglia. Pur giovanissimo all’epoca dei fatti, Erdő ha ancora ricordi molto nitidi della rivolta del ’56. I tre momenti più felici della sua vita sono stati il superamento dell’esame di maturità, l’ordinazione sacerdotale e l’ordinazione episcopale. A metà del libro sono inserite delle foto di alcuni avvenimenti salienti della vita di Erdő.

Da pagina 77 fino alla fine, Erdő viene intervistato su temi generali quali la fede, la Chiesa, i sacramenti, la legge e le sfide del nostro tempo. Nel discorrere delle varie questioni si scorge l’impostazione chiara e rigorosa del canonista, che spessissimo arricchisce il discorso con precisazioni storico-giuridiche. Si inizia immancabilmente con la figura di Gesù e sono menzionate le tre vie che ne trasmettono una vera conoscenza: la Parola di Dio, la Chiesa e i sacramenti, il cui apice è l’Eucaristia, come suggerito anche dall’episodio dei discepoli di Emmaus. Successivamente sono illustrate con precisione le note della Chiesa e ogni singolo sacramento. La trattazione sul matrimonio è accompagnata da un interessante excursus storico-giuridico e da considerazioni sulla situazione odierna del sacramento.

Non manca un lungo capitolo che tratta della storia dell’Ungheria, dal Neolitico passando per le vicissitudini del cristianesimo fino alla vicenda del cardinale Mindszenty, perseguitato dal governo ungherese. Erdő è anche brevemente interpellato sulla questione del dialogo con le altre fedi e riguardo all’ebraismo risponde a Moynihan così: «Il cristianesimo può e deve guardare all’ebraismo, anche nella profondità della sua dimensione teologica. Nessun’altra religione ha questa necessità. E parimenti la presenza dell’ambiente cristiano può essere utile anche per il mondo ebraico. Aggiungerei un elemento ulteriore, se mi permette, da canonista. Nutro la convinzione personale della necessità di una certa casistica moderna, perché c’è differenza tra i grandi principi della religione e la prassi quotidiana. Bisogna costruire un ponte tra le convinzioni teologiche di base e l’azione concreta delle persone. La fede si manifesta infatti nei casi concreti, non è un sogno astratto. La nostra prassi giuridico-canonica è simile, storicamente e culturalmente, a quella dei tribunali halakhici dell’ebraismo, che sono relativamente rari nel mondo, eppure ci sono. Nella risoluzione dei casi presentano spesso una ratio che è molto simile a quella dei nostri tribunali, con i quali condividono degli elementi fondamentali» (pp. 192-193).

Negli ultimi capitoli del libro, Erdő si diffonde sul concetto di legge rispondendo a domande concernenti il relativismo e l’individualismo che caratterizzano la nostra epoca. «Nella storia del pensiero sul cosiddetto “diritto naturale” – al quale sono applicabili diversi nomi, come “moralità naturale”, oppure “regole naturali della giustizia nei rapporti interpersonali” – la realtà deve essere una delle regole alla base del lavoro del legislatore, di coloro che applicano la legge e della vita di quelli che ad essa sono sottoposti. Così come afferma la teologia morale classica: abbiamo l’obbligo di obbedire alle leggi, a meno che esse siano contrarie alla moralità, al diritto divino, ingiuste, impossibili, cioè se chiedono una cosa che non è possibile, e così via. Il rapporto con la realtà è allora la condizione per il funzionamento stesso del diritto. (…). Il riconoscimento morale dell’autorità del legislatore legittimo a imporsi sulla gente, anche in coscienza, era quindi un atteggiamento diffuso tra i moralisti e pure tra la gente comune fino al XX secolo. Proprio il comportamento assurdo di alcuni Stati in quel secolo ha screditato questa condotta, per cui adesso è difficile sostenere che ci sia una presunzione generale di moralità e giustizia per tutte le norme giuridiche di tutti gli Stati. (…). Così il diritto statale man mano si è screditato, perdendo agli occhi della gente la sua qualità morale. Eppure deve combattere per riottenere autorità, anche morale. E’ un lavoro molto complesso, ma inevitabile. (…) è molto importante impegnarsi per la qualificazione morale del comportamento umano, anche quando si progettano nuove invenzioni, o avvengono scoperte nei campi della biologia, della fisica e nella scienza dell’economia. Occorre valutare i comportamenti e le situazioni» (pp. 217-220).

Papa Francesco si recherà in Ungheria nel 2016 per la commemorazione del 1700° anniversario della nascita di san Martino di Tours, avvenuta in Pannonia. «Martino è stato il primo santo della Chiesa non martire ma confessore, simbolo quindi di una nuova epoca dopo il lungo periodo delle persecuzioni, quando nel tardo Impero si poteva essere cristiani, incarnando al contempo le sfide morali connesse al mutamento dei tempi. Martino è stato infatti anche il grande santo sociale che per tutta la vita ha aiutato i poveri, tagliando il suo mantello per darne metà a un mendicante. (…). Al tempo stesso è stato anche un emblema del rapporto tra la Chiesa animata dalla genuina ortodossia di Nicea e i cristiani giudicati eretici: non è intervenuto presso la corte imperiale per difendere le eresie, ma per mitigare le procedure dello Stato contro personalità considerate eretiche. Anche il suo modo di affrontare questo fenomeno era quindi del tutto speciale, profondamente cristiano e non disposto ad accettare senza critiche che fosse lo Stato a vigilare riguardo ai contenuti della fede. Ma san Martino di Tours è anche un simbolo dell’universalità della Chiesa e della fratellanza tra i popoli. Il suo culto è assai diffuso in molti Paesi europei e a lui sono dedicate parecchie chiese in tutta Europa» (pp. 243-244).

Moynihan non può esimersi dal chiedere alcuni pensieri sulla famiglia al Relatore generale dei due sinodi sul tema. Per Erdő, la famiglia «è una comunità di amore, di cura vicendevole, di aiuto reciproco, a partire dal rapporto tra i figli e i genitori, che donano non soltanto la vita, ma anche l’amore che accompagna la persona dall’infanzia, facendola crescere e maturando frattanto la fiducia verso gli altri. Chi da bambino non gode di questo affetto dev’essere davvero un eroe per scoprire modalità feconde di comunicazione con gli altri e non essere diffidente e ostile nei loro riguardi» (pp. 253-254).

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Giovanni Campanella

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