«Laudato sì»: Papa Francesco e la cura della casa comune

180 280 Stefano Liccioli
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download (1)di Stefano Liccioli • Una prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme. E’ con queste parole che lo stesso Papa Francesco definisce «Laudato sì», la sua nuova enciclica dedicata alla cura della casa comune e presentata in Vaticano lo scorso 18 giugno. Papa Francesco con questo testo si rivolge non solo ai cattolici, ma anche a tutti quanti al di fuori della Chiesa Cattolica, le altre Chiese e Comunità cristiane, come pure le altre religioni, sono uniti dalla stessa preoccupazione per le sorti di questo pianeta e degli esseri viventi che ci abitano.

La prima parte dello scritto il Santo Padre fa un quadro preciso e dettagliato della situazione del mondo: l’inquinamento ed i cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita della biodiversità, il peggioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale. Afferma il Pontefice:«Basta guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune». La responsabilità di questo peggioramento deve essere attribuita alla società planetaria, accusata di avere un comportamento suicida. Il Papa precisa che lo sfruttamento selvaggio della natura e la relativa immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore non possono essere fondati sull’invito del racconto genesiaco a “soggiogare la terra” (cfr Gen 1,28). La Bibbia non giustifica dunque un antropocentrismo dispotico che si disinteressa delle altre creature. La Scrittura chiama, bensì, l’uomo alla responsabilità di fronte alla Terra che è di Dio, una responsabilità che implica il rispetto delle leggi della natura e degli equilibri tra gli esseri di questo mondo. Trascurare una relazione corretta con il prossimo, verso il quale abbiamo il dovere della cura e della custodia, distrugge il nostro rapporto anche con noi stessi, con la terra e con Dio. Occorre ricordarsi che l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti, chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Purtroppo troppo spesso non è così e le risorse naturali sono sfruttate da pochi, condannando gli altri alla fame ed alla povertà.

Il Santo Padre individua nel paradigma tecnocratico la radice umana della crisi ecologica, un paradigma che porta le persone ad estrarre tutto quanto è possibile dalle cose, dimenticando la realtà stessa di ciò che hanno dinanzi, con l’idea infondata di una crescita illimitata e di una disponibilità infinita dei beni del pianeta.

Dal momento che tutto è intimamente relazionato, la risposta a questi problemi è un’ecologia integrale che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali. Infatti i motivi per cui un luogo viene inquinato richiedono uno studio del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Ecologia non vuol dire solo cura del patrimonio naturale del pianeta, ma anche delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio, significa fare attenzione alle culture locali quando si analizzano questioni legate all’ambiente, mettendo in relazione il linguaggio tecnico-scientifico con quello popolare.

L’ecologia integrale è inseparabile poi dalla nozione di bene comune inteso, secondo la Gaudium et spes, come «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».

Il cambiamento delle sorti del pianeta passa da ognuno di noi, occorre, sostiene Papa Francesco, compiere una conversione ecologica:«Invito tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera così luminosa».

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Stefano Liccioli

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