Il Regno di Dio e il suo compimento in Cristo fondano la teologia della giustizia di Dio

628 500 Francesco Romano
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2s7baiwdi Francesco Romano • La figura e la missione del Messia sono narrate negli scritti di Isaia e nel Salmo 72. L’instaurazione del Regno di Dio sarà il regno della giustizia e della liberazione degli oppressi (Is 49, 9-13) mediante un discendente della dinastia davidica designato come “l’Unto” di Dio per eccellenza. Il futuro Messia sarà un unto dallo Spirito di Dio e riceverà appunto la missione di rendere giustizia agli oppressi, proclamando la loro liberazione (Is 11, 2.4; Sal 72, 1-4.12-13).

La giustizia del Messia sarà quella di Dio e in essa consiste il suo stesso Regno. Il Dio che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili apparirà come la realizzazione del re ideale. In questa prospettiva non viene idealizzata la povertà, ma viene rivelata una teologia della giustizia di Dio e una speranza che guarda al regno escatologico. Nell’annuncio del Regno di Dio la speranza per i poveri è che Dio non può regnare che da re giusto.

L’amore del prossimo e l’osservanza della giustizia sono esigenze dell’Antico Testamento, ma Gesù ne rivela una profondità nuova proclamando l’amore di Dio come il primo dei comandamenti e il secondo, che gli è simile, l’amare il prossimo come se stesso: “da questi due comandamenti dipende tutta la legge” (Mt 22, 38-40;7, 12). Nella parabola del samaritano S. Luca spiega che amare il prossimo consiste nel dare aiuto con le opere a chiunque si trovi nel bisogno al di là della razza o della religione (Lc 10, 25-37; 6, 27-38). Gesù chiama beati i poveri, ma al tempo stesso dice che è assai difficile per i ricchi entrare nel Regno di Dio e che è impossibile servire Dio e la ricchezza (Lc 6, 24-25; 16, 13-15; 18, 25; Mt 6, 24; 13, 32; 18, 25; 19, 24). Nel discorso sul giudizio finale, l’atteggiamento di giustizia verso i poveri e derelitti sarà un giudizio di salvezza o di perdizione (Mt 25, 31-46).

I profeti, che avevano fatto dipendere la conoscenza di Dio dall’amore degli uomini, trovano in Gesù un completamento e un’interiorizzazione della loro predicazione. Gesù fonda l’amore per il prossimo sulla paternità universale di Dio sia verso i giusti che verso i peccatori ed enuncia una nuova e più radicale formulazione della giustizia, ma sempre in continuità con le prescrizioni dell’Antico Testamento: “Tutto quanto, dunque, desiderate che gli uomini facciano a voi, fatelo voi pure a loro; poiché questa è la Legge e i Profeti” (Mt 7, 12). S. Matteo recepisce la predicazione dei Profeti quando sottolinea che il culto reso a Dio perde di valore se non è accompagnato dalla giustizia verso gli uomini (Mt 9, 13; 12, 17), facendo eco alle parole di Osea: “Poiché io voglio misericordia [amore-giustizia] più che il sacrificio” (Os 6, 6). Gesù lancia la terribile invettiva contro i farisei che osservano i precetti più insignificanti della legge, ma non compiono i doveri di giustizia. “…di dentro è pieno di rapina…trascurate la giustizia…” (Mt 23, 23-25; Lc 11, 29.42 con chiara allusione a Amos 5, 21.24).

Quegli stessi poveri e oppressi che Isaia indica come le vittime dell’ingiustizia umana, ai quali Dio vuole manifestare la sua giustizia (Is, 58 1-12), sono i disprezzati ed emarginati che Gesù fa suoi “fratelli”. La tipizzazione di questa relazione fraterna rivelata da Gesù svela anche il criterio con cui sarà dato il riconoscimento di “uomini giusti” e decisa l’appartenenza o l’esclusione dal Regno di Dio per chi avrà manifestato accoglienza verso questi poveri. Coloro che soccorrono le vittime dell’ingiustizia sono chiamati giusti perché riparano all’ingiustizia altrui compiendo un’opera di giustizia e divenendo operatori della divina giustizia: “Quel che voi avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Le esigenze della giustizia largamente diffuse nella rivelazione veterotestamentaria vengono innalzate da Gesù fondendole con le esigenze più profonde dell’uomo, cioè con l’interiorità radicale all’amore. Soltanto l’amore autentico per coloro che Gesù chiama suoi “fratelli” può rendere operativa la giustizia nel mondo. In Gesù, l’offerta di se stesso al Padre e della sua vita per la salvezza degli uomini furono un unico dono dando un valore definitivo al significato di culto all’amore di Dio.

L’amore cristiano per il prossimo implica un’assoluta esigenza di giustizia, cioè il riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo. Il nostro incontro con Cristo si realizza concretamente nell’incontro con gli uomini: in ogni uomo incontriamo Cristo in persona, il suo e il nostro fratello. La giustizia, quindi, è la prima esigenza della carità.

Vivere la fede in Cristo come amore e servizio al nostro prossimo significa non soltanto osservare i doveri personali della giustizia che più direttamente ci riguardano, ma anche sentirsi coinvolti con tutti coloro che soffrono per l’ingiustizia perché opera di giustizia è amare gli uomini per Cristo e come Cristo.

 

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Francesco Romano

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