L’uso del nome di Dio. Un dibattito parlamentare del 1947

546 405 Andrea Drigani
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0801je83di Andrea Drigani •Nel passato, e purtroppo anche nel presente, il nome di Dio è abusato con le bestemmie, le imprecazioni, gli spergiuri, addirittura con le violenze commesse profanando quel Nome e dissacrando la religiosità. Ma vi può essere un modo sconveniente, anche se non peccaminoso, di adoprare la parola «Dio» cercando di inserirla nella legislazione statale. La memoria di un dibattito parlamentare di settanta anni permette di riflettere su questo tema. Il 22 dicembre 1947 si svolse la seduta dell’Assemblea Costituente per l’approvazione definitiva della Costituzione della Repubblica Italiana. Prima della votazione finale il deputato democratico-cristiano Giorgio La Pira (1904-1977) presenta la proposta di un breve preambolo da far precedere al testo così concepito: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». La Pira motiva questa formula non come una professione specifica di fede, bensì come il riferimento ad una realtà superiore sulla quale, al di sopra di ogni questione politica, l’Assemblea concordemente e unanimemente poteva ritrovarsi. Il Presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini (1895-1983), ricorda che il Comitato di redazione aveva deciso che non doveva esserci alcun preambolo alla Costituzione e quindi la proposta era da considerarsi inammissibile, soltanto l’unanimità o una grande maggioranza avrebbe potuto superare tale impedimento, ma il Presidente Terracini rileva, da sue notizie, come tale grande maggioranza è impossibile da raggiungere. Intervengono, quindi, i deputati comunisti Palmiro Togliatti (1893-1964) e Concetto Marchesi (1878-1957), che chiedono al deputato La Pira di ritirare la proposta che provocherebbe dissensi di origine ideologica e politica e non troverebbe un’ampia convergenza. Il deputato Marchesi annota che «qui nessuno può dire di essere contro Dio, perché non sarebbe un bestemmiatore, sarebbe uno stolto». Il deputato Piero Calamandrei (1889-1956), del Partito d’Azione, indica la possibilità di un altro preambolo: «Il popolo italiano consacra alla memoria dei fratelli caduti per restituire all’Italia libertà e onore la presente Costituzione». Il deputato liberaldemocratico Francesco Saverio Nitti (1868-1953), ex-Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo aver rammentato che nel Parlamento subalpino, in occasione dello Statuto Albertino del 1848, non vi furono cerimonie sacre speciali e anche dopo i Patti Lateranensi del 1929 le attività parlamentari non hanno dato luogo a funzioni religiose, dice : «L’idea di Dio è talmente grande e universale che non può essere materia di controversie politiche. Far discendere l’idea di Dio in un’aula parlamentare è umiliare la dignità dello spirito. Il nome di Dio non deve essere nominato in contrasti politici che non hanno nulla di grande». Il Presidente Terracini a conclusione della breve, composta e degna discussione chiede al deputato La Pira di ritirare la proposta, indipendentemente dall’inammissibilità. La Pira osservando che il presupposto da cui era partito, cioè il consenso unanime dell’Assemblea, non sussiste ritira la proposta, da lui formulata all’insegna della pace e dell’unità, per evitare pure che siffatta proposta venisse, invece, presentata da altri in modo da causare profonde divergenze. La decisione di non voler preamboli di nessun genere alla Costituzione, non sbarrò al passo a Dio, come qualcuno scrisse, perché l’ispirazione cristiana della Costituzione italiana rimane incancellabile e continua ad essere fonte di interpretazione del testo stesso. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, spiegando il secondo precetto del Decalogo, afferma al n. 2143 : «Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una, singolare, che è la rivelazione del nome di Dio, che Egli svela a coloro che credono in Lui; Egli si rivela ad essi nel suo Mistero personale. Il dono del nome appartiene all’ordine della creazione e dell’intimità. Il nome del Signore è santo. Per questo l’uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un silenzio di adorazione piena d’amore. Non lo inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo»

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