Don Lorenzo Milani: Pastore e analista socio-economico

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di Leonardo Salutati – Il 27 maggio scorso ricorreva il primo centenario della nascita di don Lorenzo Milani (1923-1967), celebrato con la marcia Vicchio-Barbiana cui ha partecipato anche il Presidente della Repubblica Mattarella, segno inequivocabile dell’importanza e del richiamo che esercita ancora oggi questa «figura incandescente del cattolicesimo italiano, ma anche del pensiero laico e persino dell’indagine scientifica, sociale ed economica» (R. Cesari, 2023).

In Esperienze pastorali del 1958, primo e unico libro scritto da don Milani (le altre opere pubblicate sono lettere), emerge la preoccupazione del Sacerdote di annunciare adeguatamente il Vangelo nel contesto sociale in forte cambiamento dell’epoca. Nella Lettera a Elena Pirelli Brambilla del 23.06.1959, egli dirà espressamente: «Sono un parroco di montagna e ho scritto un libro tecnico per i miei confratelli e per nessun altro». I suoi confratelli, infatti, affrontavano la situazione affidandosi all’azione della Grazia che avrebbe portato i fedeli ai sacramenti, per cui l’importante era che la gente andasse in chiesa, poi qualcosa sarebbe successo. Su questo don Milani non era assolutamente d’accordo e riteneva che chiedere a Dio come via ordinaria miracoli strepitosi come quello della «Grazia fulminante quella miracolosa che prende un uomo mal disposto e lo trasforma in apostolo» facendone «la giustificazione quotidiana di tanta parte incoerente del nostro ministero, questa è un’eresia grande quanto quella di non credere alla Grazia» (Esperienze pastorali, p. 86).

A questo proposito, per capire il contesto esistenziale in cui si trovava ad esercitare il suo ministero di evangelizzatore, don Milani si impegnò in tutta una serie di analisi socio-economiche, con risultati tali che raccolsero, e raccolgono ancora oggi, l’apprezzamento di illustri economisti e pensatori. Tanto per citarne alcuni, Luigi Einaudi, in una lettera riservata indirizzata al Milani (1959), ebbe parole di grande apprezzamento per il libro e le sue osservazioni economiche e sociali ed Elémire Zolla (1959) così ne sintetizzò metodo e risultati: «Ha studiato la sua parrocchia e gli è bastato per capire l’intera struttura del mondo moderno».

Dalla sua ricerca sul rapporto tra società ed evangelizzazione don Lorenzo ricavò un quadro desolante del rapporto dei parrocchiani con la religione, per i quali «il peccato originale fa meno male di una infreddatura», la «confessione serve per fare la comunione», l’eucaristia «non è un dono ma un obbligo, e serve per celebrare le feste». In generale essere cristiani non vale «quanto una buona dormita, quanto l’opinione degli altri su di noi, quanto il denaro e il divertimento» (Esperienze pastorali, pp.87-88). Secondo Milani tale condizione dipendeva dall’insufficiente istruzione religiosa. Egli osservava: «Abbiamo il ragazzo in mano quando non ha problemi né seri interessi. Ci sfugge e trova in famiglia, in paese, in fabbrica la scuola dell’indifferenza religiosa proprio alle età in cui più avidamente tende l’orecchio. Venti lezioni a ragazzi più adulti anche di poco e ricchi di una preparazione linguistica e logica ci frutterebbero più che le settecento – mille lezioni di cui disponiamo ora» (ibidem, p. 50). Per questo deciderà di puntare sulla Scuola Popolare: «La scuola non mi darà occasione di confessare uomini maturi (…) ma mi dà la certezza che questi giovani quando saranno vecchi non ricalcheranno la folle strada dei vecchi festaioli… Lasciatemi dunque il tempo di fare le cose per benino, (…) e su su nel giro di venti anni vi riempirò di nuovo la chiesa. Ma questa volta d’uomini ardenti, preparati e coerenti (…) incapaci di sbondellar campane o di ornar di lumiere un altare senza aver prima profittato tutto l’anno del sacerdote per sgravarsi volta volta dei loro peccati» (ibidem, p. 88).

Tra i molti argomenti d’indagine affrontati nel libro vi era anche la ricerca sui motivi che spingevano tanti contadini e pastori ad abbandonare la terra e la montagna e riversarsi in città alla ricerca di migliori, ma incerte, condizioni di vita dove, tra l’altro, rischiavano di perdersi. Fu un esodo che, dalla fine degli anni cinquanta a tutti gli anni sessanta del secolo scorso, interessò tante zone d’Italia. Per frenare l’esodo, il Sacerdote proponeva una legge in base alla quale la terra appartenesse a chi ha il coraggio di coltivarla; le case coloniche a chi ha il coraggio di starci; il bestiame a chi ha il coraggio di ripulirgli ogni giorno la stalla; i boschi a chi ha il coraggio di vivere in montagna; facendo recuperare a questa popolazione «anche tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini. Rendere queste ricchezze ai loro veri proprietari, trasformarle in bagni, sciacquoni, scuole, strade, trattori, canali. Bisogna buttare tutte queste cose ai piedi dei contadini, supplicarli di perdonarci e di fermarsi» (ibidem, p. 338). Idee di non banali se consideriamo che, da anni ormai, stiamo sperimentando le conseguenze disastrose dell’esodo dalle montagne, dell’abbandono delle zone rurali e della relativa incuria del territorio. Idee che tuttavia scossero le coscienze, provocando forti entusiasmi e sdegnate polemiche finché l’allora Sant’Uffizio, dopo 8 mesi di presenza in libreria, il 18 dicembre 1958, con un apposito decreto provvide a far ritirare Esperienze pastorali dal commercio, giudicandolo inopportuno nonostante avesse ricevuto l’imprimatur del Card. Elia Dalla Costa (M. Lancisi, 2013).

Una vicenda quest’ultima che richiama alla mente quanto già verificatosi in altri contesti, anche se di tutt’altra portata. Su tutti la difficoltà di ricezione nelle comunità cristiane dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 1891 riguardo alla quale, a quarant’anni di distanza, nel commemorarla, Pio XI nella Quadragesimo anno del 1931 al n. 14 annotava: «la dottrina di Leone XIII, così nobile, così profonda e così inaudita al mondo, non poteva non produrre anche in alcuni cattolici una certa impressione di sgomento, anzi di molestia e per taluni anche di scandalo. Essa infatti affrontava coraggiosamente gli idoli del liberalismo e li rovesciava, non teneva in nessun conto pregiudizi inveterati, preveniva i tempi oltre ogni aspettazione; ond’è che i troppo tenaci dell’antico disdegnavano questa nuova filosofia sociale, i pusillanimi paventavano di ascendere a tanta altezza; taluno anche vi fu, che pure ammirando questa luce, la riputava come un ideale chimerico di perfezione più desiderabile che attuabile».

Pur consapevoli della distanza tra don Milani e Leone XIII e data per scontata la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, la ricchezza della persona e delle riflessioni pastorali e sociali del sacerdote Milani, alla luce della moderna fase di secolarizzazione e di scristianizzazione dell’occidente ed in particolare del continente europeo, presentano ancora oggi intuizioni preziose per preparare gli evangelizzatori del Terzo Millennio.

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Leonardo Salutati

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