di Samuele Cosimo Fazzi · Lo scorso 4 luglio è venuto a mancare Paolo Grossi, storico del diritto, docente per quasi 50 anni alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze e giudice della Corte Costituzionale dal 2009 al 2018 (durante gli ultimi due anni del suo mandato ha anche ricoperto il ruolo di presidente). Celebre è il suo libro L’Europa del diritto, comune nello studio a tutti gli studenti del primo anno di università, in preparazione all’esame di storia del diritto. Molti dei suoi studenti sono successivamente divenuti professori presso l’attuale Scuola di Giurisprudenza dell’Ateneo fiorentino.
Studente presso il liceo classico Dante di Firenze, è stato allievo di Mons. Raffaele Bensi, figura centrale del cattolicesimo fiorentino e che Grossi stesso ha definito un proprio punto di riferimento. Questo significa che le sue radici culturali provengono da quell’ambiente cattolico fiorentino che nel secondo dopoguerra ha dato forte spinta propulsiva ad un nuovo modo di essere Chiesa. Da questo ambiente deriva il senso con cui concepiva il diritto: un diritto volto alla giustizia, che si raggiunge non solo mediante la mera applicazione delle norme da parte del giudice competente.
Il suo modo di intendere il diritto lo conduceva a ritenere che le norme giuridiche non sono solo un comando formale, ma vivono una costante relazione con la realtà sociale nella quale sono inserite. Non può esistere un diritto completamente avulso dalla società: per questa ragione ne’ L’Europa del diritto viene data importanza alla consuetudine. Rispetto alla norma scritta posta dal legislatore, essa consiste in un comportamento proveniente dalla società di durata immemore, divenuto giuridico col passare del tempo e che proprio in virtù di questa provenienza “dal basso” è avvertita più vincolante dalla società civile rispetto alla norma scritta.
La più grande eredità che il prof. Paolo Grossi lascia – a tutti, in generale, e ai giuristi, in particolare – è una responsabilità fondamentale: il diritto non sia solo formalismo e legalismo – con il rischio di estraniarsi dalla società – ma sia soprattutto contiguo alla giustizia. L’ordinamento giuridico che non ricerca la giustizia, non solo crea società diseguali, ma soprattutto conduce al punto che i cittadini non avvertono le norme giuridiche come vincolanti, con la naturale conseguenza che non siano motivati a rispettare la legge medesima.