Breve storia dello Stato sociale

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coesione-socialedi Leonardo Salutati • Lo Stato sociale, nato e consolidato in Occidente durante il XIX ed il XX secolo di pari passo con la storia della civiltà industriale, si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale da cui deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali. Per questo si propone di fornire e di garantire diritti e servizi sociali quali: assistenza sanitaria; pubblica istruzione; sussidi familiari; previdenza sociale; accesso alle risorse culturali; difesa dell’ambiente naturale. Servizi che gravano sui conti pubblici attraverso la spesa sociale finanziata in buona parte dal prelievo fiscale.

La sua origine ed evoluzione può essere colta in tre fasi successive. Una prima, elementare, forma di Stato sociale o più precisamente di Stato assistenziale, venne introdotta nel 1601 in Inghilterra con la promulgazione delle Leggi sui Poveri che, oltre a rivelare un evidente contenuto filantropico, originavano dalla considerazione che riducendo il tasso di povertà, si riducevano fenomeni negativi quali la criminalità.

La seconda fase, risale alla prima rivoluzione industriale ed alla legislazione inglese del 1834, che si estenderà in seguito al continente europeo tra il 1885 ed il 1915. In questo periodo sorsero forme assistenziali rivolte a minori, orfani, poveri e le prime assicurazioni sociali che garantivano i lavoratori nei confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia. Sempre in Inghilterra si istituirono successivamente le Case di lavoro e accoglienza, che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenere basso il costo della manodopera (anche se di fatto la permanenza in questi centri pubblici equivaleva alla perdita dei diritti civili e politici in cambio del ricevimento dell’assistenza governativa).

La terza fase, la fase dell’attuale Stato del welfare, ovvero uno Stato caratterizzato da un sistema normativo con il quale si traducono in atti concreti le finalità dello Stato sociale, ha inizio nel 1942 quando, nel Regno Unito, si introdussero e definirono i concetti di sanità pubblica e pensione sociale per i cittadini, sulla base del Rapporto Beveridge, che dettero vita ad una riorganizzazione sociale ad opera del laburista Clement Attlee, divenuto Primo Ministro nel 1945. Nel 1948 la Svezia per prima introdusse la pensione popolare fondata sul diritto di nascita. Da questo momento in poi il Welfare State divenne sempre più diffuso affiancandosi ai diritti civili e politici acquisiti alla nascita. Nel periodo che va dagli anni cinquanta fino agli anni ottanta/novanta del secolo scorso, la spesa pubblica crebbe notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di welfare universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo grazie alla contemporanea sostenuta crescita del prodotto interno lordo generalmente diffusa. Negli anni ottanta/novanta, i sistemi di welfare entrarono però in forte crisi per ragioni economiche, politiche, sociali e culturali.41xxD7zrlbL._SX322_BO1,204,203,200_

Di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei ceti medi, alcuni economisti hanno sostenuto la necessità di diminuire la spesa pubblica ed il prelievo fiscale, proponendo allo stesso tempo nuove forme di socialità per rendere i servizi più efficienti e meno costosi, affidando a questo fine, in tutto o in parte, a gestori privati servizi come le pensioni (fondi pensione privati), la sanità e l’istruzione.

Tuttavia i problemi di giustizia ed equità sociale, nonché il ridotto ruolo dello Stato nella redistribuzione della ricchezza, che deriverebbero da simili scelte, per molti altri economisti non sono affatto trascurabili, specie alla luce di quanto avvenuto a seguito della crisi economica del 2008. Infatti si ritiene che il modello basato sulle privatizzazioni e sul primato assoluto del libero mercato, sia responsabile del fatto che negli ultimi anni la ricchezza si sia polarizzata verso un numero sempre più ristretto di persone e che le differenze tra i ceti sociali, in termini di tenore di vita e di disparità di reddito si siano drammaticamente accentuate. Altri ancora pensano che questi modelli, rispecchiati nelle politiche economiche neoliberiste, tendendo a mettere sempre più da parte lo Stato, possano condurre a realtà in cui lo Stato stesso perda la capacità di tutelare il cittadino dalla furia predatoria dei liberi mercati.81Tz7GUB9cL

A questo riguardo il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa al n. 348 rivolge a tutti un forte richiamo, quando invita a considerare che: «Il libero mercato non può essere giudicato prescindendo dai fini che persegue e dai valori che trasmette a livello sociale. (…) L’utile individuale dell’operatore economico, sebbene legittimo, non deve mai diventare l’unico obiettivo. Accanto ad esso, ne esiste un altro, altrettanto fondamentale se non superiore, quello dell’utilità sociale, che deve trovare realizzazione non in contrasto, ma in coerenza con la logica di mercato. Quando svolge le importanti funzioni sopra ricordate, il libero mercato diventa funzionale al bene comune e allo sviluppo integrale dell’uomo, mentre l’inversione del rapporto tra mezzi e fini può farlo degenerare in una istituzione disumana e alienante, con ripercussioni incontrollabili».

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Leonardo Salutati

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