Il Concilio Vaticano II raccontato da Mons. Luigi Bettazzi

295 500 Stefano Liccioli
  • 0

9788810521694di Stefano Liccioli • Con il libro «Il mio concilio Vaticano II» (EDB, 2019) Mons. Luigi Bettazzi ci regala un testo ricco di retroscena sul Concilio Vaticano II di cui egli è l’ultimo vescovo italiano ancora vivente che vi ha preso parte. Bettazzi ha partecipato a tre sessioni del Concilio a partire da quell’ottobre del 1963 in cui fu consacrato vescovo per poter svolgere il servizio di ausiliare di Bologna il cui arcivescovo era il Cardinal Giacomo Lercaro. La ricostruzione di Bettazzi non indugia sull’aneddotica, ma i retroscena vengono richiamati per far comprendere meglio le conclusioni ai cui è arrivato il Concilio Vaticano II e per rendere più evidenti i processi che hanno portato all’approvazione delle quattro costituzioni o di alcuni dei documenti più importanti.

Pur nella brevità del testo, i lavori conciliari ci vengono restituiti in presa diretta e sembra di respirare il clima di quei mesi e di quegli anni, un periodo fatto di momenti concitati, di attese, gioie, speranze, delusioni sia tra i partecipanti sia tra i fedeli di tutto il mondo.

Tra i passaggi del libro che ho trovato interessanti quello in cui si precisa che Papa Paolo VI seguiva attentamente le assemblee conciliari pare con una televisione interna, ma sicuramente con le relazioni del segretario generale del concilio Mons. Pericle Felici. Papa Montini non si limitò ad essere uno spettatore, ma, racconta Bettazzi, non mancava d’intervenire soprattutto per venire incontro alla minoranza al fine di giungere il più possibile vicino all’unanimità delle votazioni. Tra le richieste di Paolo VI quella di precisare nel capitolo terzo della costituzione sulla Chiesa (la Lumen gentium) che il termine “collegio” non andava inteso in senso strettamente giuridico cioé «di un gruppo di eguali i quali abbiano demandato la loro potestà al loro presidente, ma di un gruppo stabile la cui struttura ed autorità deve essere dedotta dalla rivelazione.

L’autore ricorda poi che il “Centro di documentazione di Bologna” (che aveva presenti a Roma, a supporto del Cardinal Lercaro, don Giuseppe Dossetti ed il Prof. Giuseppe Alberigo) sosteneva l’idea che il Concilio Vaticano II, insieme al Pontefice, proclamasse santo Giovanni XXIII, prescindendo in via eccezionale dal regolare processo di canonizzazione. Bettazzi si fece portavoce di questa proposta in concilio, nonostante sapesse le resistenze di Paolo VI sull’argomento dovute, secondo il prelato, alla «sua prudenza nei confronti della curia romana, molto esitante per contrarietà al suo interno».

Un passaggio del libro è dedicato alla “Chiesa dei poveri”. Sul tema l’autore riferisce che in una delle assemblee conciliari il suo Arcivescovo, il Cardinal Lercaro, prese la parola per affermare che, nella Chiesa, Cristo è presente nell’eucarestia, nella gerarchia e nei poveri. Proprio a Lercaro Papa Montini aveva chiesto di preparargli del materiale per un’enciclica sulla Chiesa dei poveri. Anni dopo arrivò la Populorum progressio (1967) che però fu più un’enciclica sullo sviluppo dei popoli e della pace che sulla Chiesa dei poveri. Durante i lavori del Concilio c’era comunque tutto un gruppo di vescovi che si radunava al Collegio Belga molto attenti a questo tema come la “fraternità dei piccoli monsignori” a cui lo stesso Bettazzi apparteneva.Luigi-Bettazzi

Fu in questo clima che maturò il Patto delle Catacombe che si concretizzò il 16 novembre 1965 alle Catacombe di Domitilla e che impegnava i sottoscrittori, inizialmente una quarantina di vescovi tra cui anche Mons. Bettazzi, a vivere una vita semplice nell’abitazione, nei mezzi di trasporto, nell’uso dei titoli personali e negli stessi vestiti, a riservare una cura particolare ai poveri ed a chi si dedica a loro. I presenti s’impegneranno a far firmare il documento anche ai vescovi amici tanto che fu portato a Paolo VI con oltre cinquecento firme.

L’ultima parte del testo è dedicata ad alcune riflessioni di Bettazzi sul post-Concilio, sugli aspetti ancora da realizzare o da portare a compimento. Significative alcune osservazioni e precisazioni fatte dall’autore. Una di queste riguarda il concetto di “tradizione” il cui senso profondo non è una mera conservazione, ma una trasmissione: tradizione deriva dal verbo latino “tradere” cioé “trasmettere” «le verità di sempre, ma capite meglio ed espresse in modo adeguato all’umanità di oggi». Conclude infine Bettazzi:«Le crisi della Chiesa, che qualcuno si ostina ad attribuire al concilio, sono invece da addebitare alla minore accoglienza che gli abbiamo destinato, timorosi di dover abbandonare troppe nostre abitudini (che definivamo “tradizione”) e di doverci dedicare prima di tutto a rinnovare noi stessi, per poter poi contribuire a rinnovare il mondo».

Non dobbiamo però perdere la speranza, aggiungo io, se restano ancora degli aspetti da portare a compimento: padre Congar affermava che ci vogliono cinquanta anni per poter comprendere pienamente un concilio.

image_pdfimage_print
Author

Stefano Liccioli

Tutte le storie di: Stefano Liccioli