Il mito del successo individuale

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di Giovanni Campanella · Nel mese di settembre 2020, la casa editrice Meltemi ha dato alle stampe un libro intitolato Trattato di economia eretica – Per farla finita col discorso dominante, all’interno della collana “Visioni eretiche”, e scritto da Thomas Porcher.

Porcher è un economista e professore associato alla Paris School of Business. Dal 2016 è membro del collettivo Les Économistes Atterrés. Ha scritto varie opere critiche e diverse pubblicazioni in riviste accademiche internazionali.

È proprio vero che il debito pubblico è un cancro da estirpare totalmente? Oppure ha una qualche funzione? È proprio vero che la flessibilità riduce la disoccupazione? È proprio vero che il libero scambio è la panacea di tutti i mali? In questo libro, l’autore cerca di rispondere a queste e altre domande, sottolineando che in economia non esistono verità inoppugnabili, oggettive, a cui non si può controbattere. Un intero capitolo è proprio dedicato a dimostrare che l’economia è una scienza tutt’altro che neutra. Due premi Nobel sono arrivati a conclusioni quasi opposte nel medesimo campo (Stiglitz suggerisce agli Europei di recuperare parte della propria sovranità monetaria mentre Tirole propone di cederne ancora). L’unanimità di pensiero è qualcosa che puzza in economia: prima della crisi dei mutui subprime, quasi tutti gli economisti erano d’accordo su efficienza e stabilità dei mercati finanziari e sulla forza delle banche…. poi si sa come sono andate le cose.

Un capitolo molto interessante e originale che ha attratto la mia attenzione è quello che critica il mito del successo individuale. Oggi il liberismo la fa da padrone e spesa pubblica con conseguente debito sono ritenuti spesso il male assoluto. Sono esaltati l’intraprendenza e il genio di manager e professionisti famosi, che avrebbero costruito la propria fortuna unicamente sul proprio talento e sul proprio sforzo. Da soli ci si distingue e si fanno cose grandi senza aiuti! Perché dare aiuti? Esistono soltanto i pigri da una parte e i volenterosi dall’altra! Gli elementi circostanti sono ininfluenti, senza alcuna importanza! Il ricco è tale solo e soltanto per merito proprio! Ma sarà proprio vero?? Eppure Porcher cita a proposito una esternazione dello stesso Warren Buffett, rinomato miliardario nell’ambito della finanza:

«Personalmente, penso che la società sia responsabile di una percentuale significativa di ciò che ho guadagnato. Piazzatemi nel bel mezzo del Bangladesh, del Perù o in qualsiasi altro posto, e vedrete cosa è davvero in grado di produrre il mio talento quando si ritrova in un territorio non favorevole! Fra trent’anni starei ancora lottando!» (pp. 52-53)

Subito dopo Porcher ricorda giustamente che

«Il successo individuale è anzitutto collettivo perché dipende dalle politiche messe in atto dalle istituzioni e dal capitale produttivo, umano e sociale di un paese. Prendiamo il caso di Steve Jobs. Oltre alle innegabili qualità dell’uomo, il successo dell’iPhone non sarebbe stato possibile senza Internet, senza il touchscreen, senza GPS o senza il riconoscimento vocale. Tuttavia, tutte queste innovazioni provengono dal settore pubblico amiericano: Internet, GPS e riconoscimento vocale sono stati sviluppati nell’ambito dei programmi di ricerca del Dipartimento della Difesa e il touchscreen è stato inventato da un professore universitario e da un suo dottorando grazie ai finanziamenti pubblici» (p. 53)

Verso la fine del libro, l’autore racconta il caso di un noto cantante francese che ha scelto di vivere in Portogallo per pagare meno contributi,

«convinto in fondo di non dover il suo successo a nessun altro fuorché a sé stesso. Ma chi compra i suoi dischi? I francesi. Chi trasmette ancora la sua musica dopo vent’anni? Le radio e i canali televisivi (talvolta pubblici) francesi. Il suo successo dipende dunque da un insieme di fattori: il suo capitale umano (ampliamente influenzato dal settore pubblico, che gli ha fornito un’educazione, un’assistenza sanitaria e delle infrastrutture gratuite, banalmente le strade per poter fare le sue tourneé), le decisioni politiche (la quantità di musica francese trasmessa dalle radio) e il ruolo delle istituzioni (nello sviluppo delle frequenze radiofoniche e dei canali televisivi)» (p. 153)

Questo tempo di COVID ci fa capire maggiormente che credere di poter fare da soli non è la strada giusta. Ognuno contribuisce al successo del prossimo. Nessuno è senza debiti verso il prossimo.

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Giovanni Campanella

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