I due nomi del Figlio di Dio: Gesù e l’Emmanuele 

200 282 Stefano Tarocchi
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di Stefano Tarocchi · Il Vangelo secondo Matteo si apre con il «Libro dell’origine», altrimenti conosciuto come genealogia: una lunga lista di nomi – trentanove per la verità ma il Vangelo afferma che sono quarantadue –, attraverso i quali emerge la relazione particolare di Gesù con il re Davide, come indicato dal numero ricorrente di quattordici.  

In parole semplici, tutta la storia umana, da Abramo a Gesù è divisa in tre grandi momenti: «tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici» (Mt 1,17). Ora, quattordici è la somma dei numeri (4 + 6 + 4), scritti nelle consonanti che compongono il nome di Davide. L’alfabeto ebraico, come del resto quello greco, non ha un simbolo specifico per le cifre dei numeri: ne risulta che Gesù è il tre volte Davide, ossia il vero Davide. 

Dopo questo esordio, arido solo in apparenza nello scorrere una interminabile lista di nomi per lo più sconosciuti, il Vangelo racconta, dal punto di vista di Giuseppe quello che nel Vangelo di Luca è l’annunciazione del messaggero divino a Maria. 

Matteo così scrive: «così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,18-25). 

 Come è solito fare, il Vangelo non si occupa dei particolari: non ha cioè interesse a entrare in quei dettagli che possono incuriosire la nostra attenzione.  

L’evangelista Matteo va subito al dunque: così avviene la nascita di Gesù. La madre, Maria, che occupa l’ultimo posto della lunga lista di nomi, ma è sicuramente una nuova linea che si dirama dai nomi rammentati, si trova in attesa di un figlio, per opera dello Spirito Santo.

Il Vangelo non si dilunga, ma mette Giuseppe, il padre legale di Gesù, di fronte a un terribile dilemma: il suo essere uomo giusto lo obbliga a non appropriarsi di una nascita che non derivava da lui; ma al tempo stesso la sua idea di giustizia gli impedisce di fare un’accusa pubblica che avrebbe comunque portato ad un ripudio, che per di più vorrebbe compiere in segreto.

Ma il disegno divino è tutt’altro, e si manifesta a Giuseppe attraverso un sogno, qui come in altri passi dei Vangeli dell’infanzia di Gesù.

In questo sogno il messaggero divino rivela la verità di questa nascita misteriosa, che si lega alla profezia del profeta Isaia sulla nascita di un figlio annunciata alla giovane sposa del re di Giuda, Acaz: «il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14).

Siamo negli anni 734-733 a.C., quando i re di Israele e di Siria muovono guerra al re di Giuda, Acaz, per spodestarlo e insediare sul trono un loro alleato. L’azione dei re d’Israele e di Siria era motivata dalla necessità di rafforzarsi contro la minaccia dell’Assiria. Isaia invita il re Acaz a non temere gli eserciti nemici, ma a confidare in Dio, che guida gli eventi. Dalle Scritture (2 Re 16,5-9) sappiamo che Acaz non ascoltò l’invito di Isaia, chiedendo invece aiuto contro i suoi vicini proprio al re d’Assiria. Ma le parole del profeta non persero il loro significato, come vedremo, se l’evangelista Matteo se ne appropria.

Intanto, con le parole del messaggero divino, Giuseppe riceve anche una missione: quella di dare il nome a questo bambino (il primo, e anche il nome con cui lo conosciamo): Gesù. Questo perché il nome Gesù, in aramaico Yeshua, significa alla lettera «Dio salva», che il testo di Matteo rende come egli «salverà il suo popolo dai suoi peccati». Da questo punto di vista, se vogliamo, ancora più sconvolgente è il Vangelo di Luca perché affida ad una donna, la madre, il compito di dare il nome al bambino: «ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,31-33). 

Ma il racconto di Matteo, grazie alla profezia di Isaia, ci dice anche che a Gesù viene assegnato anche un altro nome (il secondo): Gesù sarà chiamato anche Emmanuele, ovvero in ebraico «Dio con noi», come annunciato dal profeta al re Acaz. 

Così i racconti dei due evangelisti si saldano nel nome che il figlio di Dio riceve alla sua venuta nel mondo: il Salvatore di tutti gli uomini.  

Contemporaneamente, attraverso il testo del profeta Isaia l’annuncio della nascita di Gesù si lega alla promessa finale del Vangelo di Matteo, quando Gesù convoca sul Monte i suoi discepoli e, dopo essersi manifestato loro come ritornato alla vita e vincitore della morte, li invia nella missione a tutti i popoli della terra: «ecco, io sono con voi – ovvero Emmanuele – tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Tutto questo accadrà, nonostante i loro limiti e le loro debolezze. 

Così Dio, attraverso il suo Figlio, non abbandonerà mai a sé stesse le sue creature, anche quando le vicende più oscure della storia di ciascuno e dell’umanità sembrano dire il contrario. Ma non è così: per questo il Vangelo non potrà mai perdere la sua spinta di annuncio di una buona notizia, e i discepoli del Cristo saranno sempre “Chiesa in uscita”, come ama dire il papa Francesco.

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Stefano Tarocchi

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