Il dinamismo della riflessione ecclesiale tra rivelazione divina e storia

300 452 Alessandro Clemenzia
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9788810412312di Alessandro Clemenzia • Lo sfrenato dinamismo culturale che innerva il contesto sociale nel quale viviamo è ormai sotto gli occhi di tutti. L’intera realtà, e con essa anche l’uomo, è soggetta a un continuo divenire. All’interno di questa situazione attuale, l’ecclesiologo Massimo Nardello, in un recente saggio intitolato Dio interagisce con la sua Chiesa. La fedeltà ecclesiale alla rivelazione divina alla luce della teologia del processo (EDB 2018), recupera e rilegge uno dei temi più emergenti della riflessione teologica, quello dell’indefettibilità ecclesiale. Con questa espressione si intende che «la Chiesa che cammina nella storia è chiamata ad appropriarsi sempre più di quella fede cristologica […] che ha ricevuto dalla comunità apostolica attraverso le generazioni cristiane passate, e l’azione dello Spirito al suo interno impedisce che in tale processo questa fede possa essere fraintesa o corrotta» (pp. 15-16). Eppure, osservando quanto è avvenuto lungo i secoli, ci si rende conto di come la Chiesa, nell’ambito della sua dottrina, si sia imbattuta più volte in una chiara discontinuità rispetto al passato; basti pensare a quanto è avvenuto recentemente a proposito dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia (2016) e alle resistenze che ne sono scaturite. Si può scorgere, dunque, nella stessa storia della riflessione ecclesiale, un certo sviluppo e anche una discontinuità rispetto al passato.

Di fronte a questa evidenza, scrive l’autore: «La risposta che spesso la teologia, anche recente, ha offerto a tali questioni è che l’autocomunicazione di Dio nell’evento cristologico e nell’azione pneumatologia è talmente eccedente le capacità umane di comprensione che la Chiesa può intendere tale rivelazione solo gradualmente e parzialmente» (p. 22). Tale risposta, secondo Nardello, pur riconoscendo il carattere progressivo della fede della Chiesa che si invera incessantemente attraverso uno sviluppo storico, non giustifica il cambiamento di dottrine già professate. Per questa ragione, spiega l’autore introducendo lo scopo del suo percorso sistematico, «non basta affermare il carattere graduale e parziale di tale processo […], ma occorre pure chiarire come quanto è stato erroneamente creduto in passato non abbia compromesso la fedeltà della Chiesa alla fede» (p. 23).

L’argomento ha già un suo background: nel presente volume sono riportati i contributi di Vincenzo di Lerino, di John Henry Newman, di Bernhard Bartmann e di Michael Schmaus, secondo i quali tuttavia «non sembra possibile alcuna forma di discontinuità anche nell’evoluzione di dottrine che non sono state insegnate infallibilmente» (p. 44). Un grande passo in avanti si raggiunge con la costituzione dogmatica Dei Verbum, la quale afferma chiaramente l’esistenza di uno sviluppo dottrinale di tutto il Popolo di Dio, di una tradizione che non è statica, ma vivente: progredisce, cresce e tende sempre più verso la pienezza della verità divina (cf. DV 8).hqdefault

Da qui Nardello cerca di comprendere in che modo le diverse discontinuità dottrinali non compromettano l’indefettibilità della Chiesa. Con questo obiettivo, l’autore rivolge l’attenzione alla storia e alla sua continua evoluzione non lineare; è necessario partire da questa evidenza per ricomprendere il rapporto tra rivelazione e storia. Mentre un tempo le discontinuità dottrinali erano giustificate dall’imprecisione del carattere analogico del discorso su Dio, l’autore si domanda se non sia proprio la storia la “forma” della rivelazione. Dio rivela se stesso entrando all’interno di questo dinamismo umano e si comunica in modo altrettanto dinamico. Questa “entrata” nella storia e tale comunicazione hanno una valenza rivelativa: «Occorre ipotizzare un suo divenire anche sul piano immanente. In caso contrario, se a questo livello egli fosse immutabile, non si rivelerebbe per quello che è realmente» (p. 93).

Per fondare teologicamente questa riflessione sul divenire di Dio, da cui trarre le possibili implicazioni in ambito ecclesiologico, è necessario per Nardello rintracciare quei modelli metafisici che possano aiutarci a cogliere come il cambiamento non sia un fattore accidentale o negativo, ma la forma e la ragione d’essere di una realtà. In questo ripensamento delle categorie concettuali, ci si deve distaccare dallo staticismo delle ontologie greche per recuperare un’ontologia fondata su quel dinamismo relazionale, presentato dalla Scrittura, di un Dio che abita il divenire (differente da quello umano) nel suo essere totalmente proiettato verso le sue creature. E qui l’autore si collega al contributo originale della filosofia del processo di Alfred North Whitehead e della recezione di questa metafisica processuale nel teologo Joseph Brachen. Recuperando l’apporto di questi autori, ed evidenziando chiaramente le loro diverse criticità, Nardello, nell’ultimo capitolo del suo libro, avanza la proposta di un’ecclesiologia in chiave processuale, alla luce della quale rilegge alcune questioni ecclesiologiche, come la natura della Chiesa, l’annuncio evangelico e l’eucarestia, il rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali, compiendo, infine, una risemantizzazione della nozione di comunione.

In questo orizzonte di comprensione, «la Chiesa nel suo insieme, sotto la guida autorevole del magistero a cui spetta comunque l’ultima parola, può sentirsi libera di rimettere in discussione le dottrine insegnate in modo non definitivo, senza timore di venire meno alla propria fedeltà a Dio o di mettere in discussione l’ortodossia e l’ortoprassi delle generazioni cristiane passate» (p. 264). Ogni sviluppo dottrinale fa parte del cammino storico del Popolo di Dio.

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