Generazione Z. Guardare il mondo con fiducia e speranza

357 500 Stefano Liccioli
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Istituto-Toniolodi Stefano Liccioli • E’ da poco uscita la nuova indagine che l’Istituto Toniolo, ente fondatore dell’Università Cattolica, ha realizzato sul mondo giovanile. Per la precisione questa volta l’attenzione dei ricercatori si è concentrata «sulla fase adolescenziale – la “Generazione Z” – con l’obiettivo di comprendere le caratteristiche dei “fratelli minori” dei giovani, nella consapevolezza che molti processi di cui si vede l’esito negli anni successivi affondano le radici nell’adolescenza».

Il primo aspetto che mi ha colpito di questo libro (Paola Bignardi, Elena Marta, Sara Alfieri (a cura di), “Generazione Z. Guardare il mondo con fiducia e speranza”, Milano, Vita e Pensiero, 2018) è il metodo adottato, il Positive Youth Development, un approccio che guarda gli adolescenti mettendo in luce non i loro aspetti deficitari, ma le loro risorse. Spesso infatti parliamo delle nuove generazioni in termini negativi o sottolineando le mancanze, mi sembra invece giusto riconoscere le luci e non solo le ombre. Ognuno dei sette capitoli in cui è suddiviso il testo approfondisce un tema particolarmente significativo del panorama degli adolescenti: si va dalla consapevolezza che hanno della propria importanza all’interno della famiglia o comunità d’appartenenza, al rapporto che hanno con l’istituzione scolastica, con il web o con il problema delle dipendenze da droghe, alcol ed altre sostanze. Significativo infine il contributo offerto da una delle ricercatrici che traduce in termini operativi dei risultati della ricerca dal punto di vista educativo.

In questa articolo mi potrò soffermare solo su alcuni passaggi. Uno riguarda il contesto scolastico e, in base alle risposte date dagli studenti intervistati, Diego Mesa e Pierpaolo Triani osservano che la scuola deve essere una realtà veramente formativa in cui il carattere e la capacità empatica dei ragazzi vengono coltivati e sostenuti da adulti significativi ed ingaggianti. «Diversamente il rischio è quello che la scuola riproduca l’esistente che non solo rinunci ad essere ascensore sociale, ma deponga anche le armi sul piano più squisitamente formativo, limitandosi a ratificare sviluppi e conquiste che i ragazzi hanno maturato da sé o con il sostegno della famiglia».

Per quel che concerne i social network Fabio Introini e Cristina Pasqualini che hanno condotto l’indagine sottolineano che gli adolescenti li usano soprattutto per una comunicazione quasi di tipo telefonica dal momento che alla loro età la socialità quotidiana e lo scambio comunicativo tra pari sono avvertiti come esigenza dominante. Se da una parte ragazzi e ragazze sembrano consapevoli che esporsi in Rete potrebbe metterli in cattiva luce di fronte ad un osservatore esterno, dall’altra il loro essere nativi digitali li fa correre il rischio di vivere il mondo dei nuovi media senza un adeguato spirito critico, una corretta capacità di problematizzare gli ambienti e le situazioni all’interno delle quali ci si ritrova. Per contrastare questo pericolo occorre, affermano gli autori, un vera e propria alfabetizzazione culturale ai media che ne faccia conoscere la loro grammatica e logica profonda.

Infine l’indagine dell’istituto Toniolo, evitando l’eccesso di “diagnosticismo” (limitarsi cioè ad offrire un’analisi della situazione del mondo giovanile), indica anche delle piste di lavoro (preferisco non usare la parola “soluzione” dal momento che in campo educativo è difficile avere delle soluzioni). Quella più rilevante mi sembra l’appello al mondo adulto ad accogliere le storie ed i vissuti degli adolescenti:«Un accompagnamento educativo deve dispiegarsi anche attraverso la disposizione dell’adulto a donare tempo, perché ogni incontro ed ogni storia ne hanno bisogno per prendere forma e dispiegarsi, appunto, nel tempo, per accadere. Diversamente anche le proposte educative cadono nell’effimero e stentano a radicarsi».

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Stefano Liccioli

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