Una catechesi che sappia di Cristo. Il nuovo Direttorio

336 500 Francesco Vermigli
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609126e1ac96e8a845f6e79e8e1fa14a_XLdi Francesco Vermigli · È stato presentato lo scorso 25 giugno il nuovo Direttorio per la catechesi. Esso si rivolge alla Chiesa dispersa in tutto l’orbe, ma è indirizzato in particolare a coloro che vivono la catechesi sul campo. È un testo importante. Innanzitutto perché viene a distanza di quasi venticinque anni dalla promulgazione del precedente, uscito il 15 agosto del 1997 (mentre il primo Direttorio catechistico postconciliare risale al 1971). Ma sono soprattutto l’architettura generale del testo e il principio formale del medesimo che rendono conto della sua rilevanza. Ne parleremo più avanti: prima vogliamo fermarci sulla presentazione che i media hanno dato del testo.

Nel leggere gli articoli che hanno dato la notizia dell’avvenuta promulgazione del testo abbiamo avvertito, per così dire, una specie di straniamento. I media hanno usato immagini assai evocative, nel momento in cui hanno sottolineato come il Direttorio faccia un invito grande ad “abitare la cultura digitale”. Così l’Agenzia SIR (vedi) e così anche Avvenire (vedi), solo per fare qualche esempio. La cosa è indubbia, e corrisponde ad una parte del capitolo VII del Direttorio. Ma come accade sempre quando ci troviamo davanti ad un testo, è necessario guardare ad esso con pazienza e rispetto, cercando di scovare nelle pieghe del discorso e nei segnali letterari il problema essenziale a cui il testo vuol rispondere; al di là di quello che ad una prima lettura può attrarre l’attenzione. Detto con più immediatezza, non sarebbe importante il testo, se il cuore del Direttorio si limitasse a rilevare l’inevitabilità dell’uso degli strumenti digitali per la catechesi; con la consueta messa in guardia poi circa il fatto che – al di sotto delle potenzialità di tali strumenti – si potrebbero nascondere rischi per il singolo e per la Chiesa.

Ci pare che il Direttorio non sia importante per questo. Iniziamo da un dato che potrebbe sfuggire, ma che ci introduce al punto centrale della questione. Con il motu proprio Fides per doctrinam meno di un mese prima dell’annuncio della propria rinuncia al ministero petrino (e cioè il 16 gennaio 2013), papa Benedetto XVI ha stabilito il trasferimento delle competenze circa la catechesi dalla Congregazione del Clero (che aveva prodotto i Direttori del 1971 e del 1997) al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Si tratta di un fatto di grande significato, dal momento che la catechesi viene tolta dall’essere espressione dell’insegnamento che compete al ministero presbiterale, per diventare parte integrante di quel processo che impegna tutta la Chiesa dai tempi di Giovanni Paolo II: ad inverare, cioè, nella realtà di oggi la fede in Cristo. È un fatto capitale, che ci introduce al nocciolo della questione.

Il Direttorio – prima di analizzare le varie metodiche per la catechesi – coglie quest’ultima nel grande compito dell’evangelizzazione affidato dal Signore Gesù alla Chiesa. Prima di parlare di strumenti, cioè, il Direttorio parla di missione e di compito. E si ispira ad un passaggio mai sufficientemente considerato dell’Evangelii Gaudium che dice di come la nuova evangelizzazione prima che una prassi, è l’anima della catechesi. Così si legge in papa Francesco: «Quando diciamo che questo annuncio è “il primo” [il kerigma], ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti» (EG 164, citato in particolare a Direttorio 68).giovani-in-ascolto

L’architettura generale del testo (al primo posto: La catechesi nella missione evangelizzatrice della Chiesa) segue questo principio formale: l’anima più interiore della catechesi, il compito suo più proprio è rinnovare in tutti i contesti la semplicità e la potenza del kerigma che racconta la persona di Cristo e la sua missione. La catechesi non viene dopo il primo annuncio; piuttosto quell’annuncio che ha scosso le coscienze duemila anni fa è il cuore più intimo della catechesi. Essa non è semplicemente una sovrastruttura edificata sopra l’annuncio sulla nascita, passione, morte e risurrezione di Cristo per la nostra salvezza. La catechesi, come ho provato a dire nel titolo di questo articolo, deve reimparare a sapere di Cristo. Deve saper comunicare ancora oggi la salvezza che porta Cristo nel mondo.

La catechesi se pensata nella missione evangelizzatrice della Chiesa più che una metodica è uno stile: lo stile del Signore Gesù e dei suoi primi discepoli. Lo stile che parla al cuore dell’uomo, alla sua vita, alle sue relazioni; e che parla in una maniera diversa per ciascuno, perché nasce dalla conoscenza personale dell’interlocutore. La salvezza di Cristo non è infatti essenzialmente adesione ad alcuni articoli di fede: essa è innanzitutto adesione di ciascun uomo, con la propria concreta esistenza, alla persona di Cristo. Così sia la catechesi.

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Francesco Vermigli

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