«Gaudete et Exsultate»: il diavolo, il discernimento e la santità

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diavolo_bdi Francesco Vermigli • La recente esortazione di papa Francesco Gaudete et Exsultate, ha attratto l’attenzione dell’opinione pubblica tanto per lo scopo generale che essa si prefigge, quanto per alcuni passaggi più specifici. Da un lato si è sottolineato l’obbiettivo ampio dell’esortazione, rivelato dal sottotitolo («sulla chiamata alla Santità nel mondo contemporaneo»). Dall’altro lato l’attenzione si è rivolta con insistenza sui passaggi dedicati alla rilevazione di due “sottili nemici della santità”: il pericolo dello gnosticismo e quello del pelagianesimo. Nel primo caso il papa si innesta sulla riflessione conciliare sulla santità – il cui riferimento più autorevole non potrà che essere il capitolo quinto della Lumen gentium («Universale vocazione alla santità nella Chiesa») – siglata da Francesco in maniera personale con la formula cordiale ed efficace della “santità della porta accanto”. Nel secondo caso, siamo posti di fronte a immagini piuttosto ricorrenti nel suo pensiero: così nel discorso tenuto a Firenze il 10 novembre 2015 – in occasione del V Convegno Nazionale della Chiesa in Italia – parlò della tentazione pelagiana e di quella gnostica, come pericoli incombenti sulla Chiesa di oggi.

Qui vorremmo fermarci piuttosto su alcune considerazioni che il papa imbastisce alla fine dell’esortazione. Il capitolo quinto e ultimo del documento è intitolato a «Combattimento, vigilanza e discernimento». A fronte di visioni edulcorate e semplicistiche della santità, il papa richiama la dimensione virile del combattimento spirituale, nota che la santità deve accompagnarsi alla vigilanza, sottolinea che essa si deve pensare come una conquista progressiva. Ed è in questo luogo che il pontefice dà ampio spazio al tema del diavolo come ostacolo continuo che si frappone al credente impegnato sulla strada della santità.

Innanzitutto, sono interessanti alcuni spunti (GE 160) attorno ai racconti evangelici della liberazione degli indemoniati compiuta da Gesù: il papa richiama il carattere semplificatorio dell’opinione moderna che tende a pensare tali racconti come mere “soprannaturalizzazioni” di malattie psichiche. Del resto ci pare proprio che la vita terrena di Gesù possa considerarsi come una sorta di caveat per la vita spirituale di ciascun cristiano: quanto più si fa presente l’opera salvifica di Dio per l’uomo, tanto più si scatenano le forze del Maligno. Nella vita di Gesù questo accade in maniera estrema e paradigmatica nel momento della consumazione salvifica della croce, l’ora dello scatenarsi delle forze demoniache: «dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13), aveva scritto Luca al termine del racconto delle tentazioni; «ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre» (Lc 22,53) dirà Gesù al momento dell’arresto. Così accade nella vita di ogni uomo che percorre la via della perfezione: più si avvia lungo la strada irta e tuttavia dolcissima della santità, più è da prevedersi l’intervento di colui che tenta in ogni modo di dividere (diaballo) l’uomo da Dio.

L’azione del diavolo si esplica principalmente nella “corruzione spirituale” (GE 164-165), quella sorta di veleno esistenziale che consiste in uno stordimento dei sensi spirituali; qualcosa che è altro rispetto al peccato compiuto dall’uomo e umilmente condotto davanti alla misericordia di Dio Padre: qui l’esempio appena accennato dal papa del grande peccatore Davide che si pente e si converte, appare particolarmente appropriato. La corruzione spirituale si manifesta piuttosto nella tiepidezza e nella tristezza; nell’ottenebramento della vista spirituale, incapace di vedere il male e di combatterlo: in breve la corruzione spirituale è la lenta ed inesorabile sconfitta nel combattimento verso la santità.

Proprio questa difficoltà a riconoscere il male come tale pare essere l’origine più radicale della corruzione spirituale. È qui infatti che il papa mette in campo l’altro tema su cui ci vorremmo in conclusione fermare: il discernimento, che abbiamo affrontato in un nostro precedente articolo in questa stessa rivista dedicato al sinodo dei giovani (nel dicembre 2017). Il discernimento è ciò che preserva dalla caduta nella corruzione spirituale o ne è la correzione decisiva, qualora l’uomo vi si sia caduto. Il discernimento si pone come ciò che rende capace l’uomo di dire con chiarezza bene il bene e male il male; in modo specifico, è quell’attività spirituale che permette di riconoscere ciò che viene dallo spirito buono e ciò che viene dallo spirito cattivo. Il discernimento è soprattutto opera dello Spirito santo, è principalmente una grazia (GE 170), che si ottiene nella preghiera costante e fiduciosa (GE 171). Per concludere, esso è come l’anima e la condizione pregiudiziale della santità: giacché quest’ultima si costruisce passo dopo passo, si realizza nelle piccole cose, si rende concreta nelle scelte di ogni giorno, essa ha bisogno di questa capacità di leggere l’opera dello spirito cattivo che allontana l’uomo da Dio e dalla sua volontà.

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Francesco Vermigli

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