Hugo Rahner novello Esaù? Caso serio per la teologia di oggi

378 500 Francesco Vermigli
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wid_1_59_kra_iv_e_41di Francesco Vermigli • Non vorremmo che il titolo del presente articolo – con il riferimento all’episodio della concessione della primogenitura di Esaù al fratello Giacobbe – conducesse il lettore ad immaginare chissà quale consegna di primogeniture teologiche del fratello maggiore Hugo Rahner (1900-1968: morto dunque cinquant’anni fa) al minore Karl (1904-1984); consegna magari siglata da un piatto di Schupf Nudeln con i crauti, che nel caso avrebbero tenuto il posto delle lenticchie, vista l’origine sveva della famiglia. Gli è che questo riferimento alle vicende narrate in Gen 25 richiama la situazione di un fratello minore che soppianta nella fama il fratello maggiore.

I due fratelli Rahner hanno rappresentato nel Novecento teologico un modo diverso di organizzare il discorso sulla fede e propongono il recupero di fonti differenti, come ispirazione di questo medesimo discorso: dobbiamo credere che nel mondo della teologia novecentesca il modo di Karl di argomentare la fede abbia soppiantato quello di Hugo, tanto quanto è accaduto per la sua fama? Una domanda di questo genere implica che si sia coscienti dei tratti specifici del pensiero del fratello maggiore Rahner; posto che l’indole teologica e il profilo culturale di Karl sono assai meglio conosciuti e vulgati.

Hugo è stato innanzitutto un patrologo e uno storico della Chiesa antica; un ecclesiologo e in qualche modo anche uno storico del diritto. Entrato nella Compagnia di Gesù nell’immediato primo dopoguerra, allo stesso modo di quello che accadrà pochi anni dopo per Karl, si forma allo studentato dei gesuiti tedeschi a Valkenburg in Limburgo; ma è il tratto intellettuale a renderlo distante fin da subito dagli interessi del più celebre fratello minore. Una differenza – ci informa un biografo come Karl Neufeld (Die Brüder Rahner: eine Biographie, Freiburg im Brisgau 1994) – anche segnata da personalità assai diverse; differenza evidente a coloro che avessero avuto la ventura di imbattersi in entrambi. Ci piace notare una singolare sintonia, allora, tra la solarità del carattere di Hugo e il dispiegarsi in ampie volute del suo pensiero, così radicato nella storia luminosa della teologia; a fronte delle salite irte della speculazione di Karl, che appaiono quasi il riflesso di un profilo caratteriale più riservato e discreto.

Hugo Rahner può essere considerato come l’espressione di una teologia che si interessa al confronto della fede con la cultura e la società in cui quella stessa fede si è sviluppata (si pensi a Griechische Mythen in christlicher Deutung, a Abendländische Kirchenfreihei e a Kirche und Staat im frühen Christentum), che rileva l’importanza del linguaggio simbolico per la comprensione del mistero della comunità dei credenti (è il caso di Symbole der Kirche) e che non disdegna di confrontarsi con momenti rilevanti della storia della spiritualità moderna (Ignatius von Loyola. Geistliche Briefe e Ignatius von Loyola. Briefwechsel mit Frauen). Più in generale, il fratello maggiore Rahner può considerarsi espressione di una teologia che intrattiene un colloquio continuo con la storia della fede e del dogma; un’indagine che risale continuamente, cioè, al radicamento storico dell’espressione della vita credente. Gli interessi teologici e il metodo del suo argomentare appaiono dunque consonanti con l’epoca del ressourcement patristico, biblico e liturgico, quell’epoca che smuove le secche del neotomismo e che – per parafrasare le parole di Balthasar – si propone di abbattere bastioni invisibili, fatti di modi di argomentare la fede e di linguaggi che la esprimono.

Non vogliamo qui affrontare la questione se l’appello che Hugo fa alla storia come luogo da cui la teologia può trarre spessore, sia estraneo al fratello: certo qui tornano alla mente le parole pur rispettose e colme di riconoscenza di Ratzinger su Karl («era una teologia [quella di K. Rahner] speculativa e filosofica, in cui, alla fin fine, la Scrittura e i Padri non avevano poi una parte tanto importante, in cui, soprattutto, la dimensione storica era di scarsa importanza»: La mia vita: autobiografia, p. 95). Accogliendo a grandi spanne un tale giudizio sul carattere poco radicato storicamente del pensiero del fratello minore e facendo risuonare le parole del titolo, dobbiamo dire allora che la storia della teologia del Novecento ha segnato la prevalenza del fratello minore – con il suo modo di guardare al mistero della salvezza cristiana – sul fratello maggiore? Ha prevalso davvero Esaù su Giacobbe?9788816300514_0_0_1341_75 (1)

Nello spazio breve di queste righe non abbiamo certo la presunzione di poter abbracciare con un solo sguardo le linee prevalenti della teologia del ‘900 e i loro riflessi su quella del secolo nuovo. Basti qui notare come l’argomentare rigoroso della speculazione di Karl e la preoccupazione del confronto con la storia di Hugo siano modi di “fare teologia” che possono in alcuni casi correggersi a vicenda, sempre illuminarsi. In fondo, è la stessa storia della teologia che ci insegna che il Mistero santo di Dio e della sua salvezza è tanto grande da esser capace di sostenere modi diversi di interpretarlo e di comunicarlo.

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Francesco Vermigli

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