L’America, la città sulla collina? Il dilemma della realpolitik e la negazione dei diritti umani

800 450 Mario Alexis Portella
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americadi Mario Alexis Portella Quando si parla dei paesi che hanno lottato e contribuito alla libertà e all’affermazione dei diritti umani, si pensa innanzitutto alla Repubblica degli Stati Uniti d’America perché è la terra che ha applicato nella sua storia quello che proclama, come scrisse Thomas Jefferson nella Dichiarazione d’Indipendenza: tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, e tra questi diritti ci sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità. Tuttavia, a causa della filosofia della realpolitik, oggi l’America, che nella sua storia ha combattuto così duramente contro i dittatori per sollevare i popoli dalla loro condizione di oppressione, istituendo la democrazia nei paesi finalmente liberi, sta perdendo il suo ruolo di garante della pace universale.

La realpolitik, ispirata dal Cancelliere dell’Impero Austriaco il Principe Klemens Wenzel von Metternich (1821 — 1848), fu utilizzata per la prima volta per descrivere la linea di condotta della politica estera del Primo Ministro della Prussia Otto von Bismark (1862 — 1890). Egli, dopo la vittoria contro l’Impero Austriaco nella Battaglia di Sadowa (1866), si astenne dal chiedere delle riparazioni per permettere la nascita di un Impero tedesco con a capo il Re di Prussia. Si giustificò così col futuro Kaiser tedesco Guglielmo I (1871 — 1888): << Non dobbiamo scegliere un tribunale, dobbiamo costruire una politica tedesca >>.

La realpolitik, quindi, non è altro che una politica pragmatica, tendente a risolvere i problemi in un quadro politico-sociale concreto, rifuggendo da ogni premessa ideologica o morale: anche nel contesto internazionale questo atteggiamento si evidenzia nelle scelte basate più su questioni pratiche che su principi universali o etici. Tale prassi, in USA, comporta che uno Stato debba stabilire o mantenere rapporti con altri Stati, a costo di tollerare le violazioni dei diritti naturali che in quegli stati sono perpetrate. Come ha spiegato il Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, il Generale H. R. McMaster, il Presidente Donald Trump ha adottato la realpolititik, da cui deriva il concetto di “America First” che si regge su quattro pilastri: protezione del Paese, prosperità economica, pace attraverso la forza e lotta al terrorismo. Ne consegue l’individuazione dei principali quattro avversari, cioè Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. È da rimarcare, quindi, che l’attuale democrazia americana non è più quella di un tempo, come fu definita da Benedetto XVI nel suo discorso a Washington nel 2008: << […] dagli albori della Repubblica, la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la “verità evidente per se stessa” che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura >>.

La realpolitik in America non nasce certo con Trump ma piuttosto durante l’amministrazione del Presidente Nixon. Spinto dal suo Segretario di Stato Henry Kissinger, Nixon si recò in Cina per incontrare il presidente Mao Zedong nel 1972. In seguito a quell’incontro, entrambi i paesi ristabilirono i rapporti diplomatici, gli scambi commerciali e conclusero un’alleanza contro l’Unione Sovietica. Se i risultati sul piano internazionale furono positivi, i diritti naturali del popolo furono trascurati a tutto vantaggio del profitto economico, il che significò un maggior isolamento della stessa Unione Sovietica. In modo simile, l’anno scorso Trump – con la vendita delle armi (350 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni) all’Arabia Saudita – oltre a cercare di isolare l’Iran e aiutare gli arabi nella loro guerra ingiusta contro lo Yemen, ha ripreso la linea di Nixon: separare “l’economia” dalla “politica”, con la conseguenza di incrementare lo sfruttamento economico a scapito della dignità umana. Del resto, anche il Presidente George W. H. Bush, durante le proteste di studenti, intellettuali e operai che chiedevano al loro governo il diritto alla libertà di espressione e di coscienza in Piazza Tienanmen a Pechino nel 1989, scelse di non fare pressioni sulle autorità cinesi affinché concedessero tali diritti. E nonostante il massacro voluto ed attuato dal governo cinese, Bush disse che quel caos era << un problema interno >> della Cina che non riguardava l’interesse nazionale degli americani. Ugualmente, la realpolitik prevale nel programma e nell’azione del Presidente Barak Hussein Obama che ha progettato ed attuato il Piano d’azione congiunto globale, cioè l’accordo nucleare iraniano nel 2015, mentre avrebbe potuto far leva per costringere Teheran a concedere la libertà di espressione e di pacifica riunione, ed anche stabilire la pace in Siria. A seguito di questo errore di politica internazionale di Obama sono aumentate le violazioni dei diritti umani ed i crimini commessi contro l’umanità dai musulmani sciiti.

Non fu questa la posizione del Presidente Ronald Reagan, che, per esempio, più volte ebbe a premere sui governanti dell’Unione Sovietica perché fosse consentito ai suoi cittadini di emigrare e viaggiare all’estero prima ancora di incontrare ufficialmente i capi sovietici; la stessa linea politica seguì col dittatore cileno, il Generale Augusto Pinochet, quando lo costrinse a procedere ad elezioni democratiche in cambio della continuazione dell’appoggio statunitense. Forse gioverebbe a Trump riflettere e applicare nella sua politica quello che Reagan ha detto nel 1983. Egli, affermando che i politici conservatori dei suoi tempi rappresentavano lo spirito dei Padri Fondatori americani, disse: <<Penso che i conservatori americani siano gli unici in grado di presentare al mondo questa visione del futuro, una visione degna del passato americano. Ho sempre avuto un grande affetto per le parole di John Winthrop [un inglese che emigrò con un gruppo di ottanta pellegrini dall’Inghilterra alla Colonia di Massachusetts in America a causa delle persecuzioni religiose; dopo diventò il 3° Governatore della Colonia (1630 –1634)]: “Saremo una città su una collina. Gli occhi di tutte le persone sono su di noi, così che, se noi dovessimo in quest’opera che abbiamo intrapreso contrastare la volontà di Dio e così lo inducessimo a ritirare da noi il suo attuale aiuto, diventeremmo un esempio negativo per tutto il mondo”. Ebbene, l’America non è stata un esempio negativo per tutto il mondo. Quella piccola comunità di pellegrini prosperò e, guidata dai sogni e, sì, dalle idee dei Padri Fondatori, divenne un faro per tutti gli oppressi e i poveri del mondo>>.

Il lettore di questo articolo magari si chiederà perché sia importante che gli Stati Uniti cambino il loro atteggiamento politico. La risposta non è difficile: siccome tutti gli Stati europei, ed anche quelli sudamericani, seguono l’esempio degli americani, è necessario che gli USA riprendano alacremente il ruolo svolto sin dalla nascita. E se l’America non promuove e non assicura i diritti umani nel mondo, chi lo farà?

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Mario Alexis Portella

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