Israele nel deserto. La Quaresima e il discernimento

914 500 Francesco Vermigli
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pellegrinaggio-giovani-a-romadi Francesco Vermigli Go down, Moses, way down in Egypt’s land. Tell old Pharaoh: Let my people go!, canta un celeberrimo spiritual; reso ancora più celebre dall’esecuzione magistrale di Louis Armstrong (video). Lasciar andare il popolo è il leitmotiv di ogni dialogo tra Mosè e il Faraone e tra il Faraone e i suoi ministri, lungo il libro dell’Esodo. Ma per quale motivo, il Faraone avrebbe dovuto lasciar andare il popolo degli schiavi? Il testo dell’Esodo lo esplicita diverse volte. Così si legge ad esempio a Es 5,1: «Dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!”». Da questo, come da altri versetti dei primi capitoli del libro, si apprende che primo obbiettivo dell’esodo è servire Dio nel culto, rendere lode e gloria al Dio che salva Israele; prima ancora che entrare nella terra promessa. L’Esodo è davvero il cammino della libertà, che ben si può applicare ai derelitti e agli oppressi di ogni epoca, come ci insegna lo spiritual. Ma questa liberazione dalla schiavitù ha senso se è per il servizio a Colui, che solo è degno d’essere servito dall’uomo.

In maniera appropriata, l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto può considerarsi dunque come la metafora di ogni vita pensata in relazione con Dio. Perché uscire dall’Egitto delle nostre schiavitù per andare incontro al servizio per la lode e la gloria di Dio, è vocazione che accomuna tutti: vocazione dell’uomo è servire Dio nella concretezza della propria vita; ad ogni uomo è richiesto di cercare e di trovare la via determinata per servire Dio. Con Dante possiamo dire, citando il salmo 113: «In exitu Isräel de Aegypto / cantavan tutti insieme ad una voce / con quanto di quel salmo è poscia scripto» (Purgatorio II,46-48).

Il cammino di Israele attraverso il deserto, è un cammino verso il servizio reso a Dio; ma è un cammino lungo e faticoso, che subisce in continuazione tanto la tentazione dell’idolatria (il vitello d’oro), quanto la tentazione della sfiducia in Dio (Meriba). A ben vedere, queste sono tentazioni che hanno un riferimento all’esistenza più profonda dell’uomo stesso: così, si direbbe che all’origine del peccato dei progenitori, sta in radice proprio la sfiducia nei confronti di Dio; quell’idea, cioè, secondo la quale Egli è da considerare l’avversario da cui guardarsi, non tanto l’alleato, che crea, salva e redime. Il cammino dell’Esodo è dunque in continuazione sotto la pressione della sfiducia e dell’idolatria; e quest’ultima, nel vitello d’oro deve essere intesa come il modo umano, troppo umano di rendere presente Dio in mezzo al suo popolo.

Il tempo di Quaresima che stiamo per iniziare, può essere pensato alla luce della storia che il Signore scrive con il popolo d’Israele dall’Egitto alla terra promessa e nella sua permanenza nel deserto. La Quaresima chiama a riconoscere – contro le tentazioni a cui va incontro il popolo nel lungo cammino della libertà – che Dio è degno di fiducia e che primo passo della purificazione penitenziale, passo decisivo, passo imprescindibile è la distruzione degli idoli. Ma fiducia in Dio e distruzione dell’idolatria a ben vedere sono la grammatica che accomuna il tempo di Quaresima ad ogni cammino discernimento; tema, quello del discernimento, su cui recentemente sono tornato più volte in questa rivista online (ad esempio, nel numero di dicembre scorso: Il sinodo sui giovani: ascolto, discernimento, cammino).

Il tempo di Quaresima, se vissuto nell’impegno che mira alla conversione del cuore e della vita, e la pratica costante e paziente del discernimento sono chiamate al riconoscimento comune circa il carattere veritativo della Parola di Dio: distruggo gli idoli e mi pongo nella confidenza nei confronti del Signore, solo se avverto la verità di una Parola che scruta il mio cuore e lo rivela a me stesso. È una Parola che si impone alla vita dell’uomo e, quando si impone, ferisce e fa soffrire; dal momento che svela la mia vera identità e mi incita a cambiare vita. Mentre gli idoli delle genti non hanno niente da dire alla nostra vita, niente rivelano, sono muti, hanno bocca e non parlano (cfr. Sal 114,5), il Dio di Israele parla con chiarezza e verità al cuore degli uomini e alla loro coscienza.

Il giovedì dopo le Ceneri il rito romano pone all’inizio della Liturgia della Parola un brano decisivo dal libro del Deuteronomio: «io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme» (Dt 30,15-16). Il tempo della Quaresima, tanto quanto ogni seria pratica del discernimento hanno alla base lo stupore per la verità che si impone, che ferisce, allontanando dalla mente ogni idolo e distruggendolo. È la fedeltà alla Parola di Dio che imponendosi conduce a scoprire e ad abbracciare la vocazione concreta che è richiesta a ciascuno di noi per servire il Signore.

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Francesco Vermigli

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