Giovani Crisostomo. ‘La gloria di colui che tutto move …’ (Paradiso I,1)

195 258 Carlo Nardi
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download (1)di Carlo Nardi • Fa una certa impressione trovare in un Padre della Chiesa tra quarto e quinto secolo un’asserzione inequivocabile della permanenza del cosiddetto mondo infraumano nella escatologia definitiva. Come dire, di questo nostro mondo in paradiso.

E mi appare alla mente in un pensiero di san Giovanni Crisostomo (350 circa – 407). Nel giorno del giudizio il Padre Eterno, che ha fatto il mondo così bello per tante cose e piante e bestie, … non lo butterà via. Anzi, lo farà più splendido che mai. Certo a suo modo, e non starà a noi insegnarglielo. Lo saprà fare, e come Lui sa!

Ora il Crisostomo, nel suo esilio tra calure e geli dell’Armenia, poco prima della morte, ebbe il vigore di dar vita al suo Libro sulla provvidenza di Dio (404/407): scopo il confortare i suoi diocesani a Costantinopoli, privi del legittimo pastore, peraltro suffragato dal papa Innocenzo. Eccone un suo pensiero con scadenze poetiche: «Ehi tu, uomo, tutto ciò che esiste è per te, / e le arti sono per te e le usanze, / e le città e i villaggi, / e il sonno è per te e la morte è per te e la vita è per te, / e l’incremento e le opere della natura così grandi, e il mondo (kósmos) cosiffatto è tutto per te ora / e, nuovo, sarà migliore per te (dià sé nŷn kaì pálin ameínōn dià sé)» (7,3: Sources Chrétiennes 79,126).

Alcuni rilievi. Il trafiletto esprime un crescendo. Ne è testimone l’uomo nel farsi operoso (homo faber). E quali sono i segni? Le «arti» (téchnai), come le artes degli antichi romani, e col parlar toscano e, ovviamente, italiano; e nell’agire di mestieri e professioni con relative competenze. Insomma: “impara l’arte e mettila da parte”, in un lavorìo anche coessenziale ai rapporti umani. Alle ‘arti’ il Crisostomo abbina le «usanze» (epitedeímata): sono i mores dei latini che si dilatano – per così dire – nelle ‘consuetudini’ con le ‘umanità’ (le humanitée dei francesi), sussunte e suffragate dallo ius gentium, diritto dovere delle genti in quanto tali.

Poi la vita politica, la polis, come la civitas latina: la «città», ‘cosa pubblica’, peraltro circondata dai «villaggi» con le loro socialità. E Aristotele nella Politica insegnava a distinguere tra compiuta politica e i ragionamenti del paesello. Questo circa allo spazio.

La scansione di un tempo sia biologico sia umano, nonché sovraumano, si proietta, in alto, alla volta dell’eternità: «e il sonno è per te e la morte è per te e la vita è per te». Il ‘sonno’ è apprezzato come salutare dono di Dio. Donde l’ancestrale abbinamento con la ‘morte’, la “nostra corporal sorella morte” di san Francesco, e con la ‘vita’. Quindi ‘vita’, ma ‘vitalità’ (zōé), fisica ed effervescente, e ‘vita eterna’ col ‘duello tra morte e vita’ (mors et vita duello della Sequenza della santa Pasqua) che abbraccia terra e cielo, e anela ‘di gloria in gloria’ (2 Cor 3,18).

Il Crisostomo parla anche di «incremento ed opere della natura così grandi». In primo luogo l’‘incremento’, aúxesis, che ha la medesima radice del latino auc- da cui augmentum, l’‘aumento’ italiano, ossia ‘crescita’ e ‘sviluppo’. Poi è la ‘natura’, phýsis dalla radice greca phu- che è la stessa del latino fieri: direi in italiano filosofico il ‘divenire’ col dinamismo della ‘natura nell’essere in stato nascente’. Dunque ‘il divenire e lo svilupparsi’ sono preparazioni al ‘mondo strutturato’ (kósmos) secondo l’ideale greco etico-estetico, e pertanto ‘bontà e bellezza’ e viceversa, o meglio ancora ‘garbo e virtù’ con i detti dei nostri vecchi.san-giovanni-crisostomo

Quindi da uno sfacelo, ormai atto a sbriciolarsi, assurgono bontà e bellezza, auspice in Dio la creazione e la gloria per gli umani. Ancora il Crisostomo: «Che davvero sarà migliore e tutto questo sarà per te (ameínōn éstai kaì toûto dià sé), senti: lo dice Paolo: “anche la creazione in sé e per sé sarà liberata dall’asservimento alla corruzione”. E in che modo godrà di una dignità così grande per te, lo dimostra con quel che aggiunge: “verso la libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21)» (7,3: ibid.).

Alla creazione liberata compete una ‘dignità’ (timé), ovvero all’onore di una prerogativa o di un ministero, come il munus latino, connessi all’essere umano in vista alla «gloria (dóxa)» paolina «dei figli di Dio» (Rm 8,21). E in merito molto ci dice Dante: «La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove» (Paradiso I,1-3).

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