di Alessandro Clemenzia · La continua ripresa di tematiche riguardanti l’identità della Chiesa, già largamente trattate, potrebbe far pensare che anche la teologia subisca in qualche modo l’influsso del pensiero contemporaneo, come se anch’essa seguisse la moda corrente. Per questa ragione, l’uscita recente di alcuni libri sul significato e sul valore della “sinodalità” potrebbe, da un lato, suscitare l’interesse di chi in qualche modo è già addetto ai lavori e ripone nella realizzazione di essa la sua piena fiducia; dall’altro, innestare un atteggiamento di chiusura a-priori.
Un dato però va dato come acquisito: «Le strutture nella Chiesa devono conservare una loro connaturale dinamicità e sono soggette a un inevitabile sviluppo, cambiamento e rimodulazione» (p. 10). Queste parole, tratte dal libro di Gianfranco Calabrese, intitolato Ecclesiologia sinodale. Punti fermi e questioni aperte (EDB 2021), mostrano come la dinamicità della riflessione ecclesiologica odierna non sia animata da una semplice “moda” da seguire o da diffondere, ma dall’oggetto dell’indagine: la Chiesa. È la sua natura processuale, infatti, a richiedere che le strutture si rivitalizzino costantemente, nella consapevolezza che la realtà è il luogo in cui Dio continua a svelarle la sua missione. Le strutture della Chiesa devono esprimere questa natura viva e processuale, sempre fedele a quel ritmo evangelizzatore che determina la vera vocazione ecclesiale; lo ha chiaramente espresso Papa Francesco in Evangelii gaudium: «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (n. 26). Di fronte alle provocazioni di numerosi studi ecclesiologici, volti a proporre nuove strutture attraverso cui avviare i processi sinodali (concretizzando così quella “forma” desiderata di Chiesa), Calabrese opta per una riflessione capace di incarnare uno “stile sinodale” del pensare. «La sinodalità […] non può essere né compresa né ridotta semplicemente a una struttura o a un insieme di istituzioni, ma rimanda ad alcune dimensioni fondamentali, che caratterizzano la Chiesa nel suo mistero e nella sua missione e che declinano la sua realtà complessa e messianico-salvifica, la sua testimonianza, la sua liturgia e la stessa carità» (p. 21). E qui l’autore spiega chiaramente come sia necessario sensibilizzare i credenti a questa realtà, non con obiettivi strategici o moralistici, ma attraverso una motivazione teologica, per mostrare come la sinodalità abbia a che fare con la vocazione di tutto il popolo di Dio: sia personalmente, in virtù della dimensione profetica, regale e sacerdotale, sia comunitariamente, in quanto capace di risemantizzare, modellare e animare il rapporto comunionale tra carismi e ministeri. «Per questo è necessario sviluppare una sintassi della sinodalità a partire dalla teologia e dall’ecclesiologia che hanno come riferimento principe il mistero trinitario e il dono pasquale della comunione divina» (p. 78). La Trinità, ribadisce Calabrese, non rappresenta l’iperuranio o una mera astrazione spirituale, come qualcosa di opposto alla sinodalità, in quanto «dalla percezione che i credenti hanno del mistero di Dio e di Cristo dipende la concezione che essi hanno della salvezza cristiana e della stessa via per conoscerla, viverla, annunciarla e condividerla» (p. 79).
La sinodalità, dunque, non è una semplice prospettiva ecclesiologica, in quanto ha a che fare con la stessa natura della Ecclesia; per questo è necessario acquisire una rinnovata autocoscienza ecclesiale, capace di tradursi in una nuova prassi pastorale, senza accontentarsi di un discreto funzionamento delle strutture attuali: «Se questa recezione non avviene a livello teologico e magisteriale, ma soprattutto nella realtà e nella prassi pastorale, le strutture sinodali e di partecipazione del popolo di Dio, anche se create e istituite dopo il Concilio Vaticano II, non potranno avere quell’incidenza che di fatto dovevano avere a partire dalle intenzioni dei padri conciliari» (p. 96).
La sinodalità, che finora ha avuto una valenza soprattutto ecclesiologica, diventa per Calabrese una categoria fondamentale per rileggere la natura antropologica del battezzato, per cui, nel popolo di Dio, il cristiano ha già un’identità sinodale. Secondo l’autore, solo prendendo sul serio la sinodalità della Chiesa si può affermare che la comunione trinitaria si mostra, si dice e si dà nella Chiesa: «La “sinfonia” della comunione divina si manifesta nell’epifania della comunione ecclesiale, si concretizza nella “sintassi”, nella “logica”, nella “dialettica” e nella “grammatica” della comunione ecclesiale e si apre alla “politica” e alla profezia” della comunione universale e alla realtà escatologica del Regno di Dio» (p. 107).
Il presente libro è un tentativo ben riuscito di mostrare come la sfida che viene dalla realtà attuale e l’ontologia che scaturisce dal mistero di Dio non siano per la Chiesa qualcosa di contrapposto, ma un’esigenza del cuore, che trova nella sinodalità una sua feconda risposta.