All’origine della raffigurazione cristiana delle virtù

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di Gianni Cioli · L’origine ancestrale della raffigurazione cristiana delle virtù con sembianze umane è verosimilmente da ricercare nella disposizione radicata nella cultura e nell’arte antica a personificare e a rappresentare graficamente o plasticamente disposizioni e atteggiamenti umani socialmente rilevanti. Fede – Fides presso i Romani e Pistis presso i greci – era ad esempio la personificazione della parola data. A Roma era raffigurata come una vecchia dai capelli bianchi, più vecchia dello stesso Giove. Ciò per significare che il rispetto della parola data è il fondamento di ogni ordine sociale e politico. D’altra parte, lo stesso san Paolo, il cui pensiero è all’origine dell’elaborazione teologica della triade fede, speranza e carità, nella costruzione retorica dei suoi scritti pare talora dar corpo a una sorta di personificazione letteraria della fede, ad esempio in Gal 3,23: «Prima che venisse la fede, eravamo sotto la sorveglianza della legge, rinchiusi nell’attesa della fede che doveva essere rivelata». Qualcosa di analogo si può arguire in alcuni passi paolini relativi alla speranza (cf. Rm 5,5) e alla carità (1Cor 13). Sebbene sia riscontrabile una qualche indiretta influenza di personificazioni classiche sulle prime produzioni artistiche cristiane, un’iconografia delle virtù non sembra essere passata nelle raffigurazioni cristiane più antiche. Tuttavia, soprattutto nel cristianesimo egiziano, già dal V secolo – come ritengono alcuni – o dal VI-VII – come ipotizzano altri, probabilmente sotto l’influsso dell’arte alessandrina, si riscontrano raffigurazioni di virtù. Particolarmente significative sono le pitture murarie di due cappelle a Bawît in cui troviamo raffigurate in medaglioni decorativi i busti di Fede, Speranza, Carità e Pazienza.

La personificazione delle virtù prende significativamente corpo nella letteratura cristiana antica, non nel riferimento alla mitologia, bensì in senso prima metaforico e poi allegorico. Già Tertulliano, fra la fine del II e l’inizio del III secolo, nel De spectaculis evoca la lotta delle virtù contro i vizi per persuadere il cristiano che non c’è bisogno di frequentare il teatro, l’anfiteatro e il circo per godere di spettacoli avvincenti. Ma è stato soprattutto Prudenzio con il suo poema allegorico Psychomachia, scritto al principio del V secolo, ad avere avuto un ruolo determinante nel primo sviluppo della rappresentazione delle virtù e dei vizi. L’opera descrive i combattimenti che impegnano le personificazioni della Fede contro l’Idolatria, della Pudicizia contro la Libidine, della Pazienza contro la Collera, dell’Umiltà contro la Superbia, della Sobrietà contro il Lusso, della Generosità contro l’Avarizia, la Concordia contro la Discordia.

Nell’iconografia delle virtù si possono dunque individuare due filoni che si sviluppano parallelamente e che tuttavia s’intersecano in vario modo nel percorso dell’arte cristiana. Il primo è caratterizzato dalla raffigurazione statica di virtù ispirata a modelli classici in cui personificazioni di vario genere contornavano personaggi illustri; il secondo è contraddistinto da raffigurazioni dinamiche che presentano, in funzione parenetica, il combattimento delle virtù contro i vizi e la vittoria delle prime su questi ultimi.

Al filone della rappresentazione statica vanno certamente ascritte le raffigurazioni delle virtù cardinali che si svilupparono nel corso del medioevo a partire dall’epoca carolingia nei codici miniati del IX secolo, come pure quelle della triade fede, speranza e carità più frequenti dopo l’inizio del secondo millennio. Un esempio interessante di raffigurazione della triade è presente nel reliquiario di san Gondulfo del 1160-70 conservato al Museo Royaux di Bruxelles.

La raffigurazione delle quattro virtù cardinali rimase distinta da quella delle teologali fino alla fine del secolo XII, quando vennero a costituire un settenario talora associato ad altre personificazioni, secondo gli schemi della teologia dell’epoca, come nel mosaico della cupola dell’Ascensione in San Marco a Venezia, della fine del XII secolo. In questo caso le sette virtù e le nove beatitudini sono associate in un insieme omogeneo, sotto forma di figure femminili che sorreggono iscrizioni.

Al filone della raffigurazione statica vanno sostanzialmente ascritte anche le numerose elaborazioni iconografiche che, a partire dal XII secolo, nei codici miniati come nelle pitture murali delle chiese, hanno illustrato in funzione didattica i molteplici cataloghi di virtù e vizi attraverso l’immagine dell’albero o della scala.

Per quanto riguarda il filone della raffigurazione dinamica si deve rilevare che la fortuna goduta dal poema di Prudenzio nel medioevo ha giocato un ruolo indubbiamente significativo nell’elaborazione dell’iconografia delle virtù cristiane, con la raffigurazione dei combattimenti di quest’ultime contro i vizi, in numerosi codici miniati della Psycomachia, a partire dal IX secolo e soprattutto nel X e nell’XI. Il modello offerto dalle miniature esercitò nel XII secolo un’influenza che si estese all’arte monumentale e alle sue decorazioni plastiche e pittoriche come si può riscontrare nei capitelli di Notre-Dame-du-Port a Clermont-Ferrand; nei portali di chiese, in particolare in Francia nella Saintonge e nel Poitou; nei rilievi di fonti battesimali di chiese inglesi come Stanton-Fitzwarren e Southrop, della seconda metà del XII secolo; nelle pitture murarie di St. Gilles a Montoire.

All’inizio del secolo XIII, in particolare nelle decorazioni plastiche e nelle vetrate delle grandi chiese francesi, la raffigurazione di virtù e vizi conobbe nuove modalità espressive. Si tratta per certi versi della confluenza dei due filoni della raffigurazione statica e dinamica: la contrapposizione di virtù e vizi permane, senza specifici riferimenti al combattimento, ma con la raffigurazione delle prime che sovrasta quella dei vizi. La realizzazione più elaborata e innovativa compare nello zoccolo del portale centrale di Notre-Dame di Parigi, eseguito tra il 1200 e il 1210, in un programma dominato dal Giudizio finale.

Il modello parigino pare aver esercitato notevole influenza nel secolo XIII,47 come si può notare nei portali delle cattedrali di Amiens e di Chartres, e nelle vetrate di quelle di Lione e di Auxerre.

Nel corso del medioevo le raffigurazioni delle virtù divennero sempre più numerose e varie. Fra tutte vale la pena segnalare, come esempio particolarmente originale, l’opera di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1305 circa), dove le sette virtù cardinali e teologali, decorando la porzione più inferiore della parete destra della Cappella e contrapponendosi a una serie vizi ad esse contrari sulla parete opposta, guidano l’osservatore a confrontarsi con la scena del Giudizio finale dipinta nella controfacciata dell’edifico. Le virtù e i vizi sono immagini monocrome incastonate fra pannelli di finto marmo che evocano antiche statue.

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