La doverosa disobbedienza alle «leges inhonestae» nella tradizione morale cattolica.

751 500 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli · L’autorevole teologo Enrico Chiavacci a proposito della questione se le leggi umane obblighino in coscienza, richiamandosi alla tradizione cattolica, scriveva nel 2007: «Non è pensabile che il fine in sé della società civile (…) non debba essere perseguito, anzi, questo perseguimento è sempre dovere morale del cittadino (…), né alcuno può pensare la sua vocazione personale come estranea a questo interesse. Sussiste dunque un preciso dovere di coscienza di obbedire alle leggi positive umane (…). Il fine della legge positiva umana è sempre il bene dell’intera comunità. Ma vi sono (…) situazioni in cui la coscienza deve o può rifiutare obbedienza.

  1. Può darsi che si cerchi di perseguire tale fine imponendo comportamenti direttamente opponentisi alla legge morale rivelata o naturale: tali sono le leggi che impongono comportamenti immorali (ingiuste per il loro contenuto); tali leggi, dette anche leges inhonestae, devono essere sempre disobbedite, qualunque siano le conseguenze. Così fecero i martiri; così deve fare oggi il soldato a cui sia comandato di uccidere o torturare un prigioniero disarmato e inoffensivo, o il medico a cui venga imposto di eseguire un aborto.
  2. Può anche darsi che leggi di altro genere, pur non imponendo comportamenti immorali, siano direttamente contrarie al bene comune visto nella sua complessità, al fine stesso della società; tali leggi sono dette anche leges iniustae, ingiuste in quanto sono opposte al fine globale che costituisce la giustificazione della vita associata (È la dottrina di s. Tommaso esposta in S. Th. I-II 96 a. 4 resp. Ivi si distinguono le leggi ingiuste quoad obiectum da quelle ingiuste quoad finem. Suarez riprenderà tale dottrina, e chiamerà le prime leges inhonestae, le seconde leges injustae). Qui però occorre molta attenzione per due motivi.

Primo. La valutazione del bene comune di una società estremamente complessa quale è la società civile (…) è sempre qualcosa di incerto, data la pluralità di legittimi bisogni, e le relative priorità, urgenze, possibilità concrete di soddisfazione. I regimi in qualche modo democratici sono nati proprio per superare queste incertezze. Difficilmente la privata opinione di un singolo offrirà certezze sufficienti per disobbedire.

Secondo. Disobbedire a una legge singola, ingiusta ma non inonesta, può indebolire nel corpo sociale il principio generale di obbedienza alle leggi. Basta pensare all’invalsa abitudine di passare con semaforo rosso o, molto peggio, di evadere le tasse. Nel dubbio si dovrà obbedire, pur restando la possibilità di cambiare i legislatori in modo legittimo (democratico). (…).

L’intero corpo dottrinale ora esposto è tradizionale: si resta solo stupiti al considerare quante mai leggi inoneste o ingiuste – leggi nel senso di praeceptum della legittima autorità, quale che sia la fondazione tecnica – siano state promulgate (per esempio nella seconda guerra mondiale) e quante poche obiezioni di coscienza si siano levate da parte cristiana, sia dei singoli cittadini interessati, sia delle varie istanze della gerarchia delle Chiese cristiane di varia denominazione» (E. Chiavacci, Teologia morale fondamentale, Assisi 2007, 193-195).

Da quanto riferito dalla Agenzia ANSA, nello scorso ottobre, la nave della ong Open Arms che aveva attraccato con 176 migranti nel porto di Marina di Carrara assegnatole, «è stata bloccata per la seconda volta al porto per un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa di alcune migliaia di euro. Come già accaduto per lo sbarco del 22 agosto, il provvedimento è stato adottato per il mancato rispetto da parte della Ong del decreto Piantedosi che vieta i salvataggi multipli in mare (DECRETO-LEGGE 2 gennaio 2023, n. 1 ndr.)».

La Ong spagnola, riporta ancora l’ANSA, ha commentato così la nuova sanzione attraverso le sue pagine social: «Il nostro reato? Aver salvato 176 persone nel Mediterraneo centrale (…), la frontiera più pericolosa della Terra. Da otto anni a questa parte assistiamo ad un assurdo capovolgimento della realtà, dove chi finanzia dei torturatori in Libia può farlo impunemente e chi, come noi, salva vite in mare è costantemente sotto accusa. Il nostro posto è in mezzo al mare a salvare vite, firma l’appello per liberare l’Open Arms e aiutarci a tornare nel Mediterraneo centrale» (vedi).

Secondo quanto riportato dall’Agenzia adnkronos la Open Arms ha anche evidenziato che l’omissione del soccorso effettuato sarebbe stata probabilmente fatale per le persone che si trovavano in difficoltà, la nave umanitaria avrebbe infatti ricevuto un mayday da Seabird, il velivolo di ricognizione di Sea-Watch, per una carretta del mare «sovraffollata e in pericolo». Il velivolo, puntualizza la ong, «ci informava che la Open Arms era l’assetto navale più vicino all’imbarcazione in pericolo e che non c’erano altri assetti nelle vicinanze (…). Abbiamo, dunque, informato le autorità competenti e ci siamo diretti verso il target che era a circa 20 miglia dalla nostra posizione (2 ore circa di navigazione)» (vedi).

A quanto pare, la sanzione è stata comminata in base all’articolo 1 d) del DECRETO-LEGGE 2 gennaio 2023, n. 1, che recita:

«il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso» (vedi).

Che dire? Il punto in questione del decreto, se la bontà di un albero si giudica dai frutti, mi pare, a fronte della dottrina cattolica relativa alle leggi inique o ingiuste, problematico da due punti di vista.

Senza voler fare un processo alle intenzioni del legislatore né, tantomeno mettere in discussione la necessità di dare regole all’attività della ricerca e del salvataggio in mare, caratterizzata da particolare delicatezza, mi sembra che di fatto, nella sua applicazione con l’assegnazione di porti di sbarco in genere molto lontani dai luoghi di soccorso, il decreto abbia ottenuto l’effetto di tenere più a lungo le navi delle Ong lontane dai luoghi di salvataggio (diminuendo indirettamente le occasioni di soccorso) e di prolungare, inoltre, i disagi delle persone soccorse in mare. Se le cose stanno così, il decreto risulta probabilmente, sotto questo rispetto, una lex iniusta secondo la terminologia di Suarez, una legge contraria al bene comune visto nella sua complessità, ma a cui sarà comunque opportuno obbedire per le ragioni sopra esposte.

Ma, se l’ingiunzione di raggiungere il porto assegnato senza ritardo vuol anche significare, come pare emergere dalle motivazioni delle sanzioni comminate, che una volta effettuato un salvataggio non se ne possono effettuare altri, anche a rischio di lasciar morire, con una omissione di soccorso, persone che potevano essere salvate, allora siamo di fronte a una lex inhonesta, secondo la terminologia di Suarez, una legge che deve essere sempre disobbedita, “qualunque siano le conseguenze”.

Alla Open Arms, che paga sulla “sua pelle” la “banalità del bene” di una doverosa disobbedienza, e a tutte le Agenzie che si dovessero trovare in frangenti analoghi va dunque, per quel che vale, tutta la mia solidarietà.

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