La religione capitalistica

178 282 Alessandro Clemenzia
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download1di Alessandro Clemenzia · In una situazione come quella odierna, in cui la quarantena sta obbligando la maggior parte delle persone a cambiare radicalmente il proprio stile di vita, si può insinuare una grande tentazione dietro la buona intenzione di impegnare bene il tempo: non lasciare alcuno spazio vuoto nella giornata. Eppure, nel momento in cui le normali attività vengono meno, l’attenzione dal “fare” può essere spostata al proprio “essere”, e a tutto ciò che lo condiziona. Non solo: ci viene offerta la possibilità di guardarci attorno e vedere cosa, individualmente e comunitariamente, ci afferra e cattura oppure ci genera alla libertà.

Da pochi mesi è uscito un saggio di Luigino Bruni, intitolato Il capitalismo e il sacro (Vita e Pensiero, 2019), che invita a riflettere non soltanto sui grandi sistemi che muovono il mondo, ma anche su un dinamismo esistenziale che ormai fa parte della nostra quotidianità e che è entrato nel meccanismo scontato delle tante abitudini.

Evitando di cadere nello sterile ottimismo di chi si sforza di vedere il positivo dove esso non c’è o – come bravi profeti di sventura – di puntare il dito contro tutto ciò che ci circonda, la realtà nella quale viviamo ha sempre un che di positivo: se non altro per il fatto che essa è la dimostrazione più evidente del fatto che esistiamo e che siamo vivi. Da questa consapevolezza deve nascere un giudizio vero sulla realtà, che chiede di conoscere e indagare il contesto in cui viviamo.

Oramai è un dato certo, al di là di ogni colorazione politica, che il capitalismo rappresenti una deriva antropologica per quella radicalità evangelica che tanti cercano ancora di perseguire. Si è spesso accusata la logica del mercato di voler obliare quella plurisecolare religiosità che ha in-formato la società e la cultura europea. Luigino Bruni nel suo testo mostra quale sia la logica religiosa che sottostà al capitalismo, il quale si presenta al credente non come abolizione del sacro, ma come idolatria, in quanto è una religione che si sta soppiantando, in modo molto veloce, al posto di quella precedente, assumendo di quest’ultima i suoi tratti caratteristici.

La strategia per realizzare questo piano è stata quella di «minare le comunità e isolare le persone trasformandole in individui» (p. 39), vale a dire di eliminare dai singoli quella tensione relazionale che li caratterizza per rinchiuderli in un’esistenza dove non c’è più posto per l’altro. E in questo il capitalismo è stato molto abile, in quanto non soltanto lo ha fatto davanti ai nostri occhi, ma spesso ci ha resi inconsapevolmente protagonisti: «Fino a qualche decennio fa nei mercati si scambiavano anche parole. In seguito, l’atto di consumo perfetto è diventato l’acquisto online, dove il prodotto mi raggiunge a casa senza che tra me e l’oggetto del desiderio si inserisca nessun altro essere umano (possibilmente neanche il postino)» (p. 39).cq5dam.thumbnail.cropped.1000.563

Il capitalismo – recuperando il pensiero del filosofo tedesco Walter Benjamin – ha un suo culto di una durata perenne, non ci sono infatti giorni feriali, e produce un costante senso di colpa; le liturgie ruotano attorno alla concessione di doni, come gli sconti.

A imitazione della Chiesa che tende sempre di più a mettere in luce e a vivere, nella sua autocoscienza, la dimensione comunionale, la religione del business «sta diventando comunitaria, superando anche la stagione del consumo individuale che fino a pochissimi anni fa sembrava essere il destino del nostro capitalismo» (p. 35). Siamo, infatti, nell’epoca capitalistica della post-sazietà, dove l’intento, una volta trasformata la persona in individuo, è quello di creare nuove forme di comunità. L’importanza data all’individuo era solo una fase intermedia per arrivare a un consumo comunitario: «il mercato del futuro sarà sociale e pieno di storie collettive» (p. 41).

E come l’annuncio del Vangelo è una forma essenziale della natura e della missione della Chiesa, così il marketing del XXI secolo si appoggia al fenomeno narrativo dello storytelling, che incanta il consumatore, attivando in lui emozioni, desideri e bisogni, per arrivare a una sua manipolazione. Come il cristianesimo è un’esperienza totalizzante, così anche il capitalismo chiede tutto ai lavoratori, promettendo il paradiso della carriera. Il sacrificio, fondamentale per il culto ebraico e per quello cristiano, esiste anche per le grandi imprese globali: è ciò che viene costantemente domandato ai lavoratori.

La parola “gratuità” è il grande tabù del capitalismo, in quanto le relazioni ideali si fondano sul contratto e sullo scambio commerciale: se le imprese, infatti, lasciassero i lavoratori seguire in modo gratuito le loro doti personali, esse non riuscirebbero più a controllare le azioni finalizzate agli obiettivi aziendali. Per soddisfare ciò che il cuore dell’uomo desidera maggiormente vengono comunque offerte “piccole dosi” di dono (che Bruni denomina “il dono omeopatico”), perché possano sostituirsi al vero dono; per cui, ad esempio, «invece di mettere in discussione la quantità insostenibile di voli aerei, le compagnie aeree ci dicono che pianteranno alcuni alberi per ‘rimediare’ all’inquinamento prodotto col nostro volo» (p. 65). Il dono viene trasformato in incentivo: mentre la dinamica del primo genera reciprocità asimmetriche tra colui che dona e colui che lo riceve e a sua volta ridona, l’incentivo è un contro-dono parziale che l’impresa fa al lavoratore, è un premio finalizzato al contratto, che «mira a chiudere un rapporto senza lasciare posizioni aperte di debito e credito» (p. 69).

Il testo di Luigino Bruni è una seria presa di posizione davanti ciò che accade davanti ai nostri occhi, e mostra come il peggiore avversario della fede non sia l’economia, che per la Scrittura è qualcosa di assolutamente serio, ma l’idolatria, che nelle diverse circostanze cambia volto e nome, ma rimane sempre se stessa.

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