Una sana teoria dello Stato

490 315 Andrea Drigani
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senato-della-repubblica01di Andrea Drigani • La necessità di una sana teoria dello Stato per assicurare il normale sviluppo delle attività umane, sia quelle materiali che quelle spirituali, fu affermata da Papa Leone XIII nell’Enciclica «Rerum novarum» pubblicata nel 1891. Nella medesima Enciclica si presentava l’organizzazione della società secondo i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e ciò in quel tempo costituì una novità nell’insegnamento della Chiesa. Questo invito di Leone XIII di contribuire ad elaborare una sana teoria dello Stato, viene recepito da San Giovanni Paolo II con l’Enciclica «Centesimus annus» edita nl 1991. Papa Wojtyła osserva che l’ordinamento dello Stato deve riflettere una visione realistica della natura sociale dell’uomo, la quale richiede una legislazione adeguata a proteggere la libertà di tutti. A tal fine – prosegue la «Centesimus annus» – è preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. San Giovanni Paolo II nel constatare che la radice di ogni totalitarismo è da individuarsi nella negazione della dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile, e proprio per questo soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la nazione o lo stato, rileva che neanche la maggioranza di un corpo sociale li può violare, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla. Papa Woitjła annota, inoltre, che la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. La memoria di queste considerazioni è profondamente utile per cercare di comprendere le questioni, non solo tecniche, circa le leggi elettorali, i sistemi proporzionali e maggioritari, nonchè il rapporto tra rappresentatività e governabilità. Gli stati democratici non si fondano ordinariamente sullo strumento referendario (che permane solo in contesti eccezionali), bensì sull’istituzione parlamentare. I parlamenti, pertanto dovrebbero rappresentare, nella maniera più ampia possibile, le opinioni politiche dei cittadini elettori. Questo avviene, come scrive il politologo Domenico Fisichella nei suoi «Lineamenti di scienza politica», nel sistema elettorale proporzionale, laddove, lo dice la parola, vi è proporzione (più o meno esatta a seconda di alcuni accorgimenti legislativi) tra il numero dei voti ottenuti e quello dei seggi parlamentari. In tale sistema tuttavia, come si evince dall’esperienza, non è quasi mai accaduto che un partito da solo conquisti la maggioranza assoluta dei seggi, di qui l’esigenza di formare alleanze e coalizioni per raggiungere il quorum. Le difficoltà di stipulare e mantenere un accordo di governo, conseguenza di un parlamento proporzionalmente rappresentato, sono per qualcuno un ostacolo alla governabilità e alla stabilità politica, ritenute essenziali per lo sviluppo della società. Di qui la prospettiva di un sistema maggioritario, dove con i collegi uninominali, soprattutto a turno unico, o con premi di maggioranza, si consente l’immediato costituirsi di un governo. Nel sistema maggioritario, i voti dei perdenti sono veramente persi, nel senso che non vengono utilizzati. In effetti una delle conseguenze delle leggi elettorali maggioritarie è il sensibile calo dell’affluenza alle urne. In Italia, nel 1946, fu scelto il sistema elettorale proporzionale che è rimasto in vigore fino alle elezioni del 1992. Tale sistema è stato applicato, con qualche variante, per entrambi i rami del Parlamento. Nel 1994 fu introdotto un sistema maggioritario per i tre quarti dei seggi (con i collegi uninominali) e per il restante quarto con la proporzionale. Nel 2005 si varava una riforma elettorale apparentemente proporzionale, poiché si stabiliva un premio di maggioranza (cioè in seggi) alla coalizione di liste che avesse raccolto comunque il maggior numero di voti, quindi anche con la maggioranza semplice. Questa legge, nel 2014, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale eliminando il premo di maggioranza. Nel 2015 fu emanata una nuova legge elettorale (peraltro per la sola Camera dei Deputati) denominata «Italicum», consistente in un sistema proporzionale corretto, tuttavia, da un premio di maggioranza accessibile al partito che raggiunge il 40% dei voti al primo turno o al ballottaggio ma con qualsiasi numero di voti. Anche questa legge, nel mese scorso, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, abolendo il ballottaggio. E’ evidente che il Parlamento deve predisporre una nuova legge elettorale omogenea sia per la Camera che per il Senato. Le proposte in tal senso sono numerose e differenti, anche se si scorge una propensione per il proporzionale, attesa la consistente pluralità di formazioni politiche. Se si dovesse andare in questo senso, occorre recuperare una cultura del proporzionale, cioè del confronto e della convergenza, lasciando da parte estremismi e particolarismi, anche per dimostrare che la rappresentatività e la governabilità non si oppongono, ma possono stare insieme.

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