La piaga della corruzione e il sicomoro di Zaccheo

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trasferimento-2di Leonardo Salutati • Nel corso dell’udienza concessa ai partecipanti alla Conferenza Internazionale delle Associazioni di Imprenditori Cattolici (UNIAPAC) di giovedì 17 novembre scorso, nel suo discorso, Papa Francesco ha toccato vari temi tra i quali quello della corruzione. Il fenomeno non è certamente nuovo nelle relazioni tra settore pubblico e settore privato o all’interno dello stesso privato. Le sue radici storiche sono molto lontane e ben note. Tuttavia, a partire dagli anni ’90, l’argomento è stato oggetto di rinnovato interesse e di studio da parte vari organismi internazionali. Lo scorso marzo anche il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS) ha redatto un rapporto che ha accertato come la corruzione imponga costi sociali, politici ed economici significativi per gli Stati europei, nessuno escluso, e per i suoi cittadini.

Al riguardo, l’Italia rivela purtroppo una condizione quanto meno preoccupante. Secondo le stime, inevitabilmente approssimate data la particolarità delle indagini, ma più accreditate del PACI (Public Administration Corruption Index) della World Bank, nel luglio 2015 su una classifica mondiale della corruzione di 125 paesi, l’Italia era al 19° posto.

Questo significa che non essere ad un livello di corruzione, per esempio, pari a quello della Germania, considerato un paese virtuoso e comunque all’ 11° posto, è costato all’Italia (dati 2014) circa 585 miliardi di Euro, a fronte di un Prodotto nazionale lordo pari a 1616 miliardi di Euro. Ai livelli di corruzione germanici, il reddito pro capite italiano sarebbe passato da 26600 Euro a 36300 circa, ovvero persino superiore a quello tedesco (dati IMF-WEO). E se il confronto lo effettuassimo con l’ancor più virtuosa Danimarca, al 6° posto e primo tra i paesi europei, l’impatto del differenziale di corruzione sarebbe una cifra enormemente più grande.

Se fossimo stati almeno al livello della Germania è stato calcolato che, in tredici anni nel periodo che va dal 2002 al 2014, il PIL sarebbe salito da un minimo di 128 a un massimo di 141 miliardi, i posti di lavoro sarebbero cresciuti fino a un milione e 180 mila unità, con un deficit pubblico ridotto fino a 105 miliardi e un debito pubblico ridimensionato di una somma enorme, al 58,3% del PIL. Invece milioni di italiani hanno subito e subiscono la crisi e la disoccupazione, i giovani scappano sempre più all’estero, in aggiunta le sempre precarie condizioni della finanza pubblica hanno generato pesanti aumenti della tassazione. Senza considerare che in un mondo corrotto gli imprenditori trovano più vantaggioso investire nel coltivare le amicizie giuste per poi poter vincere contratti a suon di mazzette a loro beneficio, anziché dedicare energie per realizzare un buon prodotto a beneficio della società civile. Un’amministrazione corrotta, poi, non può che essere “statica” e restia a riforme e miglioramenti, minando la fiducia dei cittadini nel governo e pregiudicandone la legittimità percepita con gravi riflessi economici, perché le politiche di un governo dalla ridotta legittimità percepita tendono ad essere poco efficaci e, comunque, nella misura in cui la corruzione intacca la fiducia tra i cittadini, vi è pregiudizio per l’attività economica in generale.

Le conseguenze economiche e politiche della corruzione giustificano le severe parole del Papa che l’ha definita «la piaga sociale peggiore». «La menzogna» di cercare il profitto personale o del proprio gruppo sotto le parvenze di un servizio alla società. «La distruzione del tessuto sociale» sotto le parvenze del compimento della legge. «La legge della giungla mascherata da apparente razionalità sociale. È l’inganno e lo sfruttamento dei più deboli o meno informati. È l’egoismo più grossolano, nascosto dietro a un’apparente generosità».

La sua genesi è rinvenuta dal Papa nell’adorazione del denaro che rende il corrotto prigioniero di quella stessa adorazione. Egli considera la corruzione una frode alla democrazia, che sovente pervade tutti i livelli della società: politico, imprenditoriale, della comunicazione, delle organizzazioni sociali e dei movimenti popolari fino a quello religioso, e che apre le porte ad altri mali terribili come la droga, la prostituzione e la tratta delle persone, la schiavitù, il commercio di organi, il traffico di armi. «La corruzione è diventare seguaci del diavolo, padre della menzogna».

Papa Francesco ricorda ancora che può accadere che gli imprenditori si vedano tentati a cedere ai tentativi di ricatto o di estorsione, giustificandosi con il pensiero di salvare l’impresa e la sua comunità di lavoratori e che un giorno potranno liberarsi di quella piaga. Come pure può succedere che cadano nella tentazione di ritenere che piccoli atti di corruzione destinati a ottenere piccoli vantaggi non abbiano grande importanza giustificandosi col fatto che è qualcosa che fanno tutti. Tuttavia ricorda anche che una delle condizioni necessarie per il progresso sociale è l’assenza di corruzione e che qualsiasi tentativo di corruzione, attiva o passiva, è già cominciare ad adorare il dio denaro.

Per questo, da parte di tutti, è indubbiamente da raccogliere l’invito di Papa Francesco ad imitare Zaccheo (cfr. Lc 19, 1-10), quel ricco, capo degli esattori delle tasse di Gerico, che salì su un albero per poter vedere Gesù, con l’auspicio che il messaggio cristiano sia come il sicomoro di Gerico, un albero su cui salire, per incrociare lo sguardo di Gesù che invita a profonda conversione, affinché l’attività di tutte le imprese promuova sempre ed efficacemente il bene comune.

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Leonardo Salutati

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