La visita di papa Francesco a Bozzolo e Barbiana

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153652493-1a16a155-6c2d-4542-965d-9b39dbf4cf65di Francesco Vermigli • Martedì 20 giugno – nello spazio di una sola mattina – papa Francesco si è recato in visita a due luoghi diversi in Italia, differenti per tessuto sociale ed ecclesiale; differenza siglata anche dall’orizzonte diversissimo che ha accolto il pontefice: una pianura senza apparenti confini, in un caso; colline e montagne che si alzano sopra una vallata ampia e sinuosa, nell’altro. Il pontefice si è recato in pellegrinaggio in questi due luoghi, legati a doppio filo all’apostolato di due preti del nostro Novecento: Bozzolo, provincia di Mantova e diocesi di Cremona; Barbiana, provincia e diocesi di Firenze. I due preti che in questi due luoghi hanno esercitato il loro ministero, sono – come ben si sa – don Primo Mazzolari (1890-1959) e don Lorenzo Milani (1923-1967).

Non v’è chi non veda come solo per il secondo dei due preti si possa trovare in quest’anno una ricorrenza: pochi giorni fa, esattamente il 26 giugno, si ricordavano i cinquant’anni dalla morte di don Milani. Eppure il papa ha voluto accomunare in un’unica visita i due preti: tale decisione ci interroga. Per quale motivo Francesco ha deciso di unire in una sola giornata personalità diverse e luoghi tanto distanti?

Una prima risposta – però, a ben vedere, sempre a rischio di letture semplificanti delle vicende storiche che li riguardarono – è che il papa abbia voluto rendere omaggio a due preti la cui biografia ecclesiale è stata segnata in entrambi i casi da travagli e dissapori, tensioni e incomprensioni: una prima lettura potrebbe dunque interpretare la visita come l’intenzione da parte del papa di ricucire uno strappo. Il che in parte è vero, come si può prendere in particolare dalle parole conclusive del discorso che Francesco ha tenuto a Barbiana. Ma forse la ragione di questa doppia visita ha a che fare con qualcosa di più radicale, che non rientra solamente nella preoccupazione di sanare un vulnus del passato: la visita ha soprattutto l’obbiettivo di presentare nel parroco di Bozzolo e nel priore di Barbiana un profilo sacerdotale ancora gravido di conseguenze per la Chiesa di oggi. In fondo, le parole della madre di don Milani – rilasciate in un’intervista del luglio del ’70 e riportate negli ultimi passaggi del discorso del papa – possono essere un’utile chiave di lettura: «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui…». “Far conoscere i preti”: pare esser stato questo il messaggio e lo scopo di papa Francesco nella sua visita tanto a Bozzolo, quanto a Barbiana.

Ma che tipo di prete ha voluto far conoscere papa Francesco? Semplificando si direbbe che il pontefice ha voluto far conoscere il parroco e l’educatore; il pastore di una parrocchia come tante nella Bassa Mantovana e il priore di poche case alle pendici del Monte Giovi; preoccupato della formazione civile e cristiana dei ragazzi di quel territorio boscoso. I discorsi tenuti nella chiesa parrocchiale di Bozzolo e nel prato poco sopra la canonica di Barbiana danno indicazioni utilissime: qui ovviamente non ci proponiamo di esaurire quei discorsi; di presentare corsivamente, piuttosto, i punti nodali cui il pontefice volge la propria attenzione. Il discorso che papa Francesco ha tenuto a Bozzolo, è stato scandito da tre immagini: il fiume, la cascina, la pianura. Un linguaggio evocativo che è servito a ricordare l’invito di don Mazzolari a trasmettere in maniera personale l’amore e la verità di Cristo (nell’immagine del fiume); lo zelo del parroco per una pratica ecclesiale come realtà accogliente, al modo di una cascina, “famiglia di famiglie”; l’apertura a orizzonti nuovi, fiduciosi nella presenza di Dio tra gli uomini (nell’immagine della pianura).

Il discorso tenuto a Barbiana ha inizialmente centrato la propria attenzione sulla dimensione educativa e pedagogica di don Milani: il papa ha salutato in don Milani colui che ha percepito l’esigenza di ridare la parola ai poveri, prima a San Donato a Calenzano, poi – e ancora di più – a Barbiana. Ma non possiamo non notare come le parole che ha rivolto ai preti presenti (quelli che furono compagni di don Milani nella formazione in Seminario e alcuni giovani preti fiorentini), danno il senso a tutte le parole dette e a tutti i gesti compiuti non solo a Barbiana, ma ci pare anche a Bozzolo. Così il papa: «La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che [don Lorenzo Milani] ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete».

Quel profilo presbiterale forse più evidente di don Mazzolari e quello invece che il papa invita a cogliere al di sotto delle rappresentazioni talvolta unilaterali di don Milani, sono – almeno così pare – il messaggio che il pontefice ha voluto lasciare alla Chiesa; a quella che è in Italia in modo particolare. Fede totalizzante e carità pastorale, orizzonte civile ampio e prospettive educative rinnovate: alla radice di due esperienze ecclesiali particolari una medesima coscienza presbiterale profonda, radicale, esigente, evangelica; coerente con le sollecitazioni più rilevanti del suo pontificato.

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Francesco Vermigli

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