L’universo in un raggio di luce. Da san Benedetto a Dante

401 309 Carlo Nardi
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dante-alighieridi Carlo Nardi • Il papa Gregorio Magno (+ 604) racconta che, poco prima di morire, san Benedetto (+ 580) ebbe la visione dell’intero universo in un raggio di luce: «Benedetto era in piedi alla finestra e pregava Iddio che tutto può. D’un tratto, nel cuor della notte, vide una luce riversarsi dall’alto: aveva messo in fuga tutte le tenebre della notte e splendeva sempre più al punto che, irraggiando tra le tenebre, superava quella del giorno. Nel suo intento contemplare sopraggiunse un qualcosa di veramente meraviglioso: come poi raccontò, tutto il mondo, come fosse raccolto in una raggio di sole, fu condotto davanti ai suoi occhi» (Dialoghi II,25,1-2).

Un monaco – narra ancora Gregorio –un monaco di nome Pietro chiede delucidazioni e pone al papa una precisa obiezione: «Cosa veramente meravigliosa e davvero stupenda! Ma di quel che si è detto – che davanti ai suoi occhi era stato condotto tutto il mondo come raccolto in un unico raggio di sole – non ne ho mai avuto sentore né so che mi dire. Ma con quale logica può succedere che un unico essere umano possa vedere il mondo in tutti i suoi aspetti» (Dial. II,25,5).

Gregorio risponde: «Tien per fermo, o Pietro, quel che ti dico: per un’anima che vede il Creatore è piccola ogni creatura. Ammettiamo che quell’anima abbia visto ben poco della luce del Creatore; Nondimeno per quell’anima ogni essere creato diventa angusto perché proprio per la luce di quella visione si dilata l’ambito della mente che è in lei ed essa si espande in Dio tanto da sovrastare sul mondo. Anzi, l’anima di chi ha la visione supera anche se stessa. E quando è rapita sopra di sé nella luce di Dio, si dilata nel suo intimo e, mentre guarda sotto di sé, una volta elevata, comprende quanto piccola cosa sia tutto ciò che l’anima, stando sulla terra, non era ancora in grado di comprendere. Perciò, colui che vedeva quel globo infuocato e vedeva anche gli angeli che tornavano in cielo, poteva vedere il tutto soltanto nella luce di Dio. Che c’è di strano allora se egli riuscì a vedere il mondo raccolto davanti a sé, lui che, elevato nella luce presente alla sua mente, si era trovato fuori dal mondo?» (Dial. II,35,6).

E il papa conclude: «Ora, che il mondo, secondo quel che si dice, sia stato compendiato davanti ai suoi occhi [di Benedetto], non è avvenuto perché cielo e terra si sarebbero contratti, ma perché si è dilatato l’animo del veggente che, rapito in Dio, poté senza difficoltà vedere tutto ciò che è inferiore a Dio. Perciò, in quella luce che rifulse agli occhi del corpo esterno era presente nell’intimo della mente un’altra luce, quella che aveva rapito l’animo del veggente per trasferirlo nelle cose di lassù e che gli aveva mostrato la piccolezza delle cose di quaggiù» (Dial. II,35,7).

Il motivo filosofico e letterario della contrazione e sintesi del mondo in un «unico raggio di luce» (Dial. II,35,3) ha vari antecedenti nell’antica letteratura latina, pagana e cristiana. A me il racconto di Gregorio richiama alla mente, oltre alcuni tratti presenti nel Sogno di Scipione di Cicerone, l’ultimo canto del Paradiso. Lì il veggente è Dante, atto a «ficcar lo viso per la luce etterna» (Par. 33,83). Egli dice: «Nel suo profondo [nella insondabile luce divina] vidi che s’interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna» (Par. 33,85-87). Egli sembra dire, con qualche tocco già presente in sant’Agostino (De Trinitate IV,17,23), che la creazione, così varia e multiforme, è come lo “squadernarsi” di un libro in fascicoli, quasi a comporre la vicenda di questo nostro universo, creazione al contempo tutta quanta a ritrovarsi in un solo “volume”: nelle profondità della luce eterna, in definitiva in Dio. Per il papa Gregorio l’anima umana può giungere a contemplare il tutto in un raggio di luce; per Dante in un “volume”, direi in un plesso, in una sintesi presente in Dio che è “luce eterna”: «luce intellettual per piena d’amore, / amor di vero ben, pien di letizia, / letizia che trascende ogni dolzore» (Par. 33,40-42).

Bearsi di questa luce che si espande si tutte le creature è possibile. È la luce della creazione, per cui «s’aperse in novi amor l’etterno amore» (Par. 33,18), ed è la luce della pasqua: si pensi alla liturgia della veglia pasquale. È luce fisica di corpi creati, luce interiore dello Spirito Santo, luce nel tempo e nell’eternità. È luce dai tanti raggi nelle nostre relazioni.

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