Dal bene comune della civitas al bene comune degli uomini per la tutela dei diritti.

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di Francesco Romano • La nozione di bene comune è una derivazione del concetto di politica della democrazia greca e del pensiero politico medievale. Nel corso del mondo moderno, a cominciare dalle influenti tradizioni del contrattualismo del XVII e XVIII secolo, il concetto di bene comune subirà profonde trasformazioni fino a scomparire. Dovremo attendere la metà del XIX secolo, soprattutto dopo la Rerum novarum con la nascita e lo sviluppo dei movimenti sociali e politici di ispirazione cristiana, per farne rivivere l’interesse.

Il bene comune è una categoria complessa che va oltre l’interesse per problematiche attinenti al fine dello stato o alle realtà economiche. Il suo orizzonte si allarga fino a inglobare l’uomo in quanto persona. È il bene di quel “noi tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Infatti, la polis, per Aristotele, è la realizzazione del bene più alto, “il bene comune”, che come fine dell’agire politico appartiene a ciascun cittadino e a tutti i cittadini nel loro insieme. Quindi, il bene comune è il fine dell’agire politico. Polis – ossia organizzazione della vita buona dei cittadini e non semplice aggregato corporativo – è il superamento dell’individualismo personale e di gruppo, condizione, per l’uomo, di vita virtuosa e felice con i suoi simili.

Il bene comune esprime gli elementi socialmente rilevanti della dignità naturale della persona, esprime quei beni fondamentali della persona, cioè non negoziabili, che la comunità politica deve tutelare e promuovere, in quanto diritti fondamentali della persona legati alla sua dignità.

Nucleo centrale, intangibile, non negoziabile del bene comune è il rispetto assoluto della vita della persona. La negazione radicale della legge di Caifa che sancisce la “pars pro toto”. Il rispetto della vita umana è la base per la costruzione di ogni altro bene e valore.

La famiglia come nucleo generativo delle relazioni umane è la base della persona umana e la cellula fondamentale della società. Il bene della famiglia non è negoziabile e si pone di fronte alle sfide del pluralismo etico quali la mentalità divorzista, l’equivocità della figura familiare, l’ideologia intorno alla differenza di genere.

I diritti della libertà personale sono ulteriori elementi contenutistici del bene comune. Pensiamo alla libertà religiosa, di coscienza, di espressione, di associazione, di partecipazione politica.

La libertà personale è elemento negoziabile del bene comune, non è mai un diritto assoluto. Essa non deve essere disgiunta dalla responsabilità e dalla ricerca della verità. È il libertarismo radicale che eleva la libertà individuale assoluta a valore primo e unico, completamente decostruito dal suo essenziale rapporto con la verità, trasformando in diritto ogni desiderio del soggetto.

Anche i beni della persona nella prospettiva della giustizia sociale, non vengono esclusi dalla formulazione personalista del bene comune, ma si qualificano come beni pubblici, quali l’istruzione, la salute, i servizi pubblici. Sono beni negoziabili erogati in prospettiva di uguaglianza che gravitando nell’ambito del bene comune ricevono una connotazione umanista e personalista.

Il mondo, visto oggi come villaggio globale, induce a pensare il bene comune in prospettiva universale, il bene comune della comunità internazionale. Le dinamiche culturali, economiche, politiche si intrecciano tra loro con una concatenazione di effetti, che si può tentare di governare, ma mai arrestare.

Il bene comune oggi deve essere considerato come il bene comune della comunità internazionale. Si pensi alla rivoluzione informatica, agli effetti internazionali delle scelte economiche e finanziarie, alle spinte migratorie praticamente inarrestabili.

Fondamento e giustificazione dell’autorità è la promozione del bene comune. Scrive Ulpiano nel Digestum, l’autorità deve essere garante dei due principi, neminem laedere e suum cuique tribuere: “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere alterum non laedere, suum cuique tribuere”, ovvero la tutela delle persone, delle cose e anche la tutela della giustizia distributiva.

Per l’inscindibile connubio tra bene comune e autorità, le dimensioni sovrannazionali del bene comune richiedono autorità politiche di pari livello. La qualità della vita è un obiettivo di valore politico che realizza la sintesi tra vita giusta e vita buona dove il criterio di giustizia distributiva viene integrato dalla giustizia allocativa cioè rispondente al benessere e alle necessità di una determinata popolazione.

La questione dello sviluppo tecnologico richiama l’urgenza di salvaguardare il bene comune dell’umanità di oggi e delle generazioni future per il rischio di consegnare un mondo profondamente modificato e compromesso. La questione ecologica e il potere smisurato delle biotecnologie interpellano la comunità internazionale sul futuro del pianeta e sulla prospettiva di un bene comune internazionale e intergenerazionale assistito da una governance mondiale che governi le dinamiche di globalizzazione.

Il mondo che ha come orizzonte il bene comune pone di nuovo la questione antropologica: la civiltà tecnologica e tecnocratica, la cui mentalità ha deviato dal suo originario alveo umanistico; l’impatto delle biotecnologie che minacciano di modificare l’identità dell’uomo, il senso della vita, della morte, della sofferenza e dell’amore, sostenuti da una ideologia libertaria dei diritti umani che, spingendo verso un relativismo etico, producono antiumanesimo.

L’orizzonte del bene comune, quindi, si allarga dalla civitas all’umanità come tale. Le biotecnologie che raggiungono l’apice intervenendo sull’uomo e spingendo dal concetto di generazione della vita a quello di produzione, prefigurano un tipo di uomo senza passato e senza radici.

La centralità della famiglia, cara al Magistero della Chiesa, è messa in discussione a partire dall’indissolubilità del vincolo dell’istituto matrimoniale e aperta al riconoscimento di altre forme inclusive anche di unioni prive di differenza di genere, oltre che al disconoscimento della bipolarità maschile-femminile.

L’uso indiscriminato delle biotecnologie rappresenta, dopo la politica antipersonalista delle ideologie totalitarie del XX sec., il dominio integrale sull’uomo. Le conseguenze arrecate al corpo sociale sono connesse alle stesse lesioni apportate al bene comune. I dubbi che le biotecnologie suscitano devono essere inquadrati nell’ottica del bene comune. Ma l’orizzonte del bene comune interessa non solo lo spazio, cioè la convivenza umana planetaria, ma anche il tempo, cioè il bene comune intergenerazionale per le conseguenze che certe scelte produrranno negli anni o nei secoli. Il rischio che l’uomo sotto la spinta della tecnica – il bio-tech, la robotica e pezzi di ricambio – venga ridotto a semplice particella della natura, accresce la preoccupazione che tanto l’uomo che la natura possano essere manipolate e modificate.

Il bene comune, esigenza intrinseca della giustizia, è il criterio orientativo dell’azione morale. È un bene legato al vivere sociale delle persone. Il bene comune è un concetto che deve tradursi in azione morale chiamando ogni uomo alla sua responsabilità sia come singolo che come comunità. Esso è un bene partecipabile a tutti per la realizzazione della buona vita che, non limitandosi al bene utile, includa l’esercizio delle virtù morali e civiche. È la realizzazione sociale e comunitaria del bene morale.

Il bene comune entra nella sfera dei rapporti sociali e li struttura aprendo a una antropologia di relazione come bene metafisico, non come somma di beni individuali. La dimensione comunitaria e sociale oggi deve allargare lo sguardo non solo dalla polis al mondo, ma anche nella direzione intergenerazionale per la notevole incidenza dovuta agli effetti del progresso scientifico e tecnologico.

È bene richiamare al riguardo le parole anticipatrici di Giovanni XXIII che scrisse nel 1963 nell’enciclica Pacem in terris: “Come il bene comune delle singole comunità politiche, così anche il bene comune universale non può essere determinato che avendo riguardo alla persona umana. Per cui anche i poteri pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona: con un’azione diretta, quando il caso lo comporti; o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie specifiche funzioni”.

In una società in via di globalizzazione, “il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo e renderla in qualche misura anticipazione che prefigura la città senza barriere di Dio”.

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Francesco Romano

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