Autosufficienza ed invulnerabilità: miti del nostro tempo.

309 444 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · Ogni epoca storica ha i propri miti ispiratori, miti di cui spesso, sul momento, è difficile dare una valutazione in termini morali, educativi e sociali, anche se si possono fare alcuni confronti e considerazioni. Nel tempo presente, a mio avviso, si stanno affermando in maniera particolare due idoli: quello dell’autosufficienza e quello dell’invulnerabilità.

Il primo ci vuol portare a credere che dobbiamo bastare a noi stessi e che la vera libertà consista nel non avere bisogno degli altri. Il teologo e scrittore Luigi Maria Epicoco ha ben espresso questo concetto parlando della menzogna dell’autosufficienza:«Il male insiste nel volerci convincere interiormente che saremo davvero liberi quando non avremo bisogno di nessuno, ma una persona è davvero libera quando accetta di avere sempre bisogno degli altri per poter essere se stessa, per poter amare, per poter affrontare la vita». La libertà non consiste, dunque, nel non aver bisogno di nessuno, ma nel costruire relazioni che rendono liberi. Il mito dell’autosufficienza, invece, cerca di convincerci che se vogliamo essere forti dobbiamo fare a meno degli altri o, al limite, di considerarli nel proprio orizzonte solo in maniera utilitaristica cioè quando essi servono ai nostri scopi.

Sono consapevole che mali come l’egoismo e l’opportunismo siano antichi come il mondo, ma mi sembra che la società dei consumi abbia acuito certi problemi. È così, per esempio, che i rapporti interpersonali hanno cominciato a perdere la dimensione della gratuità per acquisire quella utilitaristica e del commercio. Non voglio essere tacciato di vetero-marxismo, ma la struttura economica di una società può influenzare, per non dire condizionare il modo di essere e di pensare delle persone. Il pensatore di Treviri nella sua opera “Miseria della filosofia” affermava infatti:«Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio». Non mi sembra un quadro troppo diverso da quello di oggi che, per dirlo in termini più poetici, assomiglia anche a quello descritto cinquanta anni fa da Pierpaolo Pasolini:«In questo mondo colpevole che solo compra e disprezza il più colpevole sono io, inaridito dall’amarezza».

La soluzione a questa situazione non ce la danno però né Marx né Pasolini, ma la possiamo trovare solo nella contemplazione della Trinità e soprattutto nel far propria la logica trinitaria. Afferma ancora Epicoco:« Il nostro Dio è Uno e Trino. Noi siamo fatti a immagine e somiglianza sua. Cosa significa ciò? Che la nostra perfezione non è nella solitudine ma è una “Trinità”, cioè una relazione. Quando recuperiamo questa relazione, allora si sprigiona dentro di noi la nostra perfezione».

L’altro mito dei nostri tempi è, a mio parere, quello dell’invulnerabilità secondo cui è conveniente per ciascuno di noi non lasciarsi toccare da quello che ci accade intorno, dai bisogni e dalle fragilità degli altri. Se a parole si elogia la capacità di essere empatici, dall’altra si esalta, nei fatti, una visione individualista della vita in cui non c’è spazio per il nostro prossimo. Abbiamo fatto del nostro io un assoluto. Anche in questo caso è stato un passaggio di un libro di don Epicoco che mi ha fatto capire l’importanza di decentrarsi:«Viviamo in un momento storico molto particolare, in cui veniamo educati a concentrarci tantissimo su noi stessi. I miei problemi, i miei bisogni, i miei miei desideri sono i più importanti del mondo. Facciamo di noi stessi un assoluto. Finché non impareremo a decentrarci, non capiremo mai davvero né questa vita né ciò che ci può rendere davvero felici. La maturità della vita umana dovrebbe consistere nell’imparare in maniera sana a decentrarci».

Per capire le conseguenze di questi due miti sulla nostra società basta ricordare quello che ho scritto in alcuni recenti articoli su questa rivista a proposito del calo di volontari, soprattutto tra i giovani, nelle realtà del Terzo Settore: una società che esalta l’autosufficienza e l’invulnerabilità non ha tempo da dedicare agli altri.

L’inversione di questa tendenza dominante, l’affrancamento da questi miti non avverrà attraverso dichiarazioni di principio, ma offrendo al mondo la bellezza di una vita alternativa caratterizzata dalla gratuità e dall’attenzione a ciò che ci circonda.

In questa prospettiva mi sento di poter dire che oggi più che mai non è tanto importante dimostrare la fede, quanto mostrare la fede cristiana.

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Stefano Liccioli

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