La lezione di San Paolo VI sulla chiesa e la società

404 500 Mario Alexis Portella
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paolo vidi Mario Alexis Portella “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.” Queste sono le parole con cui il Nostro Signore Gesù Cristo rispose ai farisei quando, nella loro ipocrisia, gli pongono la domanda se “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”

I farisei sono stati più volte sbugiardati da Gesù, che di loro ha smascherato la doppiezza davanti a Dio e agli uomini. I farisei si riuniscono a consiglio, cercando un modo per mettere in trappola questo fastidioso predicatore. La risposta di Gesù è considerata come la base della libertà religiosa. Siccome l’uomo è “creato nell’immagine e somiglianza” di Dio, lo Stato deve riconoscere la libera scelta, secondo la propria coscienza, dell’uomo di esercitare la propria fede o di non esercitarla. Ecco perché c’è la separazione tra chiesa e stato. Ma questa separazione non vuol dire che “Cesare” non deve rendere a Dio quello che è il Suo. Anzi, lo Stato non soltanto ha il dovere di promuovere e tutelare questo diritto, ma deve farlo riconoscendo l’antropologia cristiana che ha dato molto alla civiltà occidentale, specialmente in Europa.

Oggi la nostra società e anche la nostra Chiesa, stanno vivendo un’ epidemia di confusione e disorientamento morale e dottrinale quasi universalmente diffusi. Essi costituiscono un serio pericolo di contagio per il bene comune e per la salvezza eterna di molte anime a causa dello sradicamento delle radici cristiani da parte dell’Unione europea, anche dal silenzio della Chiesa stessa.

L’Europa non è sicuramente un continente geografico, nel senso che non è un insieme di terre emerse circondate dall’oceano. Se volessimo definirla, potremmo dire che l’Europa è una penisola del continente asiatico; non c’è un’unità etnica. Abbiamo conosciuto invasioni dal V secolo a. C. fino al XVIII secolo d.C., e quindi alla base vi è un principio di civilizzazione, il quale, come aerma S. Giovanni Paolo II “non riguarda solo gli uomini di scienza, così come non deve rinchiudersi nei musei”. Anzi, essa “è la dimora abituale dell’uomo, ciò che caratterizza tutto il suo comportamento e il suo modo di vivere, persino di abitare e di vestirsi, ciò ch’egli trova bello, il suo modo di concepire la vita e la morte, l’amore, la famiglia e l’impegno, la natura, la sua stessa esistenza e la vita associata degli uomini”.

A questo principio e a queste radici comuni cristiano-giudaiche dobbiamo molto della nostra cultura laica, del principio della separazione fra Stato e Chiesa e nel campo dell’arte con l’Europa delle basiliche e delle cattedrali; ad esse dobbiamo molto del principio e rispetto della dignità e della libertà umana e del rispetto della dignità di tutti gli uomini.

Il principio di uguaglianza tra tutti gli uomini è un principio che nasce comunemente con la fede e la cultura9788810113301 cattolica”, come diceva l’Arcivescovo di Torino il Cardinale Michele Pellegrino—cattolica in senso universale che, nonostante la separazione degli ortodossi e dei protestanti della Chiesa fondata da Gesù stesso, quando diciamo cristiano si dice cattolico. L’Europa sopravvive all’Impero romano sulle strade stesse di quella che era Roma, portando questo nuovo fattore di unità. In un momento di disgregazione, in qualche modo la religione cristiana costituisce un collante e un continuo della storia romana e quindi un continuo di una storia di civiltà.

Di nuovo, ai giorni nostri dobbiamo riconoscere una pervasiva letargia a diversi livelli dell’Ue e anche di alcuni della gerarchia cattolica; il secondo si vede quando essi si rifiutano di criticare la politica di governanti, ad esempio, l’aborto, l’unione omosessuale, lo sfruttamento economico dei poveri, ecc. Ciò è causato in gran parte dall’inosservanza del dovere apostolico—come affermato anche dal Concilio Vaticano II – di “vegliare per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano” (Lumen gentium, 25). Questo accade perché come l’assemblea del popolo di Dio, noi abbiamo volontariamente dimenticato di mettere in pratica l’ultimo ordine che il Signore Gesù ci ha dato: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,  insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato».
Ecco perché la nostra epoca è caratterizzata da una mancanza di un acuto nutrimento etico e culturale; il comandamento del Signore è offuscato.

Ma per la Chiesa, qual è il suo dovere di fronte a questa realtà? Occorre ricordare la Lettera apostolica Solemni hac liturgia (Il Credo del Popolo di Dio del 1968) di San Paolo VI: “Il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini … L’intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in Lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi sé stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l’ardore dell’attesa del suo Signore e del Regno eterno.”

Bisogna far nostra questa fondamentale esortazione di S. Paolo VI prima che tutta la cristianità diventi per gli uomini un ricordo del mondo che fu.

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Mario Alexis Portella

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