«La memoria è dinamica». Echi ortodossi nelle parole di papa Francesco alla curia romana

755 491 Dario Chiapetti
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307C6EBE-83EF-455E-8B44-818DD125118D-755x491di Dario Chiapetti • Papa Francesco, rivolgendosi recentemente ai membri della curia romana, ha proposto una lettura del tempo attuale, delle urgenze che la Chiesa deve considerare e a cui essa deve far fronte, carica di carattere profetico e ricca di spunti. Non è un resoconto del discorso del papa che intendo svolgere, quanto semplicemente richiamare l’attenzione su un suo aspetto preciso: quello della «memoria dinamica». Dopo aver esordito ringraziando i membri della curia per l’impegno profuso durante l’anno, Bergoglio ha portato i suoi uditori a riflettere sulla necessità di leggere e comprendere il fenomeno del «cambiamento d’epoca» che l’uomo di oggi sta vivendo, segnato da importanti cambiamenti nella sfera politica, sociale, ecologica, culturale, religiosa, ecc. Eppure – ha richiamato il papa – è proprio nel tempo, nella storia, che si rivela Dio. Da qui l’imperativo a «lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente» – è scorretto rispondere ad esse come si è fatto in altri contesti – e, data la dinamicità di Dio e del tempo, ad «avviare processi e non occupare spazi».

È chiaro che è sul tempo e sui processi che Francesco vuole focalizzare l’attenzione. Addirittura, già in Evangelii Gaudium, il papa aveva formulato la «superiorità» del tempo sullo spazio. Del resto, l’avvento di Cristo è compreso come il compimento del tempo: «il tempo è compiuto», così si apre il vangelo di Marco. E tuttavia lo spazio è ri-preso dal compimento del tempo: nel tempo compiuto, nell’Avvento di Cristo, gli spazi divengono di riconciliazione, di pace, ecc. Il papa ha più volte esortato a creare spazi siffatti.

Proseguendo, il richiamo sull’importanza del tempo è accompagnato da quello della memoria, quale tratto peculiare del modo cristiano di vivere. La memoria è connessa «al depositum fidei e alla Tradizione». Ciò non significa che bisogna fare «come se prima niente fosse esistito; al contrario». Eppure, «Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento». Da qui la conclusione: «la tradizione non è statica, è dinamica, come diceva quel grande uomo [G. Mahler che riprende una metafora di J. Jaurès]: la tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri».

La memoria è quindi, da un lato, connessa alla Tradizione, dall’altro, richiama la vita. Tutto ciò mi fa pensare alla prospettiva orientale così come è stata presentata, ad esempio, dal russo Alexander Schmemann o dal greco Ioannis Zizioulas. Questi teologi, pur nelle peculiarità delle loro riflessioni, mostrano come Cristo sia la Verità in quanto è il manifestatore di Dio Trinità nella storia, la manifestazione dell’Eschaton che irrompe nella storia, assume questa e la creazione e le trasfigura nel suo corpo e come suo corpo. La Tradizione, pertanto, è il consegnarsi di Cristo nella storia – tradere -, o meglio il consegnare lo Spirito che procede dal Padre. Lo Spirito è poi Colui che introduce gli eschata nella storia (cfr. At 2,17) e, precisamente, l’Eschaton, la divinoumanità del Figlio, in cui creato e increato si rivelano pienamente nella comunione – koinonia – realizzata nel corpo di Cristo.

L’eucaristia è proprio questo: il manifestarsi del Figlio – e con Questi, del Padre e dello Spirito – e della creazione nella comunione divinoumana che è il corpo di Cristo. Ebbene, tale manifestazione, che è escatologica, è memoria, come si evince particolarmente dalla sua dimensione anamnetica. La memoria, per il suo carattere pneumaticamente condizionato, non è ricordo di un passato, «facoltà – scrive Zizioulas – retrospettiva dell’anima», ma esperienza, nel presente, di un evento futuro, avvenuto nella storia per la prima volta nell’Ultima Cena. Da ciò si ha che la commemorazione – scrive Schmemann – è la realtà stessa del Regno. Per la tradizione ortodossa, il fondamento dell’evento eucaristico non sono le parole d’istituzione, un evento passato, ma l’epiclesi, l’opera dello Spirito, Colui che introduce il futuro nel presente e viceversa. La memoria, che è massimamente il sacramento, «non è – precisa Zizioulas – un prodotto della storia», né una ripresentazione di un fatto storico, ma la manifestazione, ogni volta come fosse la prima e l’unica, dell’evento escatologico del Regno. È proprio questo il significato dell’Ultima Cena, realtà dispiegatasi nella storia nell’evento di passione, morte e risurrezione di Gesù.Gustav_Mahler_3

Da ciò si ha che per affrontare le sfide che la Chiesa ha davanti a sé non basta il criterio di ciò che è stato, né, ovviamente, nella sua forma più scaduta – il tradizionalismo, l’attaccamento a ciò che è stato in un particolare periodo storico e elevato a norma assoluta -, né nella sua forma più alta, scientifica – gli studi storici, lo studio di ciò che è stato -. Non è la storia a produrre, raggiungere o anche solo a comprendere l’Eschaton ma viceversa. Occorre allora la teologia. Non una teologia – mette in guardia Zizioulas – che scade in antropologia, o un’ecclesiologia in sociologia. Occorre una teologia dogmatico-sistematica come illustrazione dell’esperienza escatologico-liturgica, ossia che, da tale esperienza, giunge alla comprensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecc., del mistero della comunione divinoumana, e da tale comprensione desume e teorizza i criteri dell’agire. In tale prospettiva, si comprende perché – come nota Zizioulas – la tradizione orientale prediliga, al linguaggio verbale – «i segni verbali sono condizionati dalla storia» -, il linguaggio iconico-liturgico, entro certi termini apofatico, la cui base è «la scena del Regno così come è raffigurata e descritta nella liturgia».

Niente deve essere perso e tutto trasfigurato – la creazione, la storia, le formulazioni verbali del dogma -. È quanto apprende la memoria, ossia l’esperienza del Regno, manifestata particolarmente nella liturgia, che trasfigura lo sguardo, fa contemplare l’Eschaton e le cose nell’Eschaton e dall’Eschaton e rende chi guarda, portatore di tale sguardo alle cose che questi guarda, sì che anch’esse possano guardare e guardarsi in tale luce.

Ecco allora la prima sfida del cambiamento d’epoca: non perdere la memoria, ossia non perdere la spinta ad avviare e percorrere processi, a guardare avanti col gusto dell’avanti che viene incontro.

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Dario Chiapetti

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