L’umiltà come metodo del teologo. Il 50° anniversario dell’istituzione della Commissione teologica Internazionale

960 480 Alessandro Clemenzia
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1di Alessandro Clemenzia La natura processuale della Chiesa – cioè il riconoscere che la sua origine non è avvenuta in un preciso istante della storia, ma in un ampio arco di tempo, che va dall’evento dell’Incarnazione alla comunicazione della fede da parte di coloro che avevano fatto esperienza concreta del Nazareno – va a determinare anche la natura della teologia. È lungo i secoli, infatti, e nella variabilità delle circostanze storiche che emerge, sempre in una novità radicata nella Tradizione della Chiesa, la vocazione della teologia, e dunque dei teologi.

Il 29 novembre scorso si è celebrato il 50° anniversario di istituzione della Commissione Teologica Internazionale, un organismo fortemente desiderato e poi costituito da Paolo VI per dare continuità all’insegnamento del Concilio Vaticano II. Per comprendere la portata di tale ricorrenza, ci si può avvalere di due interventi, complementari tra loro, che offrono la possibilità di avere uno sguardo d’insieme, profondo e prospettico, della missione di tale istituzione: si tratta del discorso tenuto da Papa Francesco e rivolto ai membri della Commissione Teologica Internazionale, e dell’indirizzo di saluto inviato da Benedetto XVI.

Il Papa Emerito ha ripercorso la storia di tale istituzione attraverso la sua personale esperienza, ricordando come essa era nata per superare una contrapposizione che si era venuta a creare tra la teologia e il Magistero, soprattutto negli anni del postconcilio. Nel suo saluto egli si è soffermato in particolare sul primo quinquennio della Commissione, tempo in cui «doveva essere definito l’orientamento di fondo e la modalità essenziale di lavoro della Commissione, stabilendo così in che direzione, in ultima analisi, avrebbe dovuto essere integrato il Vaticano II». Il Papa Emerito, con la sua passione determinata dall’essere personalmente coinvolto con quanto sta ricordando, ha menzionato quei teologi che hanno via via arricchito la riflessione ecclesiale attraverso la loro partecipazione attiva alla Commissione. Questo fare memoria del primo quinquennio e degli anni successivi, tuttavia, non contiene tracce di un nostalgismo tipico di una visione idilliaca della realtà, ma presenta la grande sfida in cui tutti i teologi devono imbattersi per vivere ecclesialmente il loro mandato: vale a dire l’umiltà, il riconoscere la fragilità del proprio pensiero per renderlo capace di entrare realmente ed efficacemente in dialogo con altri pensieri, culturalmente distanti tra loro. Conclude Benedetto XVI: «Solo l’umiltà può trovare la Verità e la Verità a sua volta è il fondamento dell’Amore, dal quale ultimamente tutto dipende».

Ed è proprio attraverso queste parole che si può introdurre il contributo del discorso di Papa Francesco, soprattutto quando delinea la figura del teologo e la sua funzione ecclesiale. Rivolgendosi ai membri della Commissione egli afferma: «Come teologi provenienti da vari contesti e latitudini, voi siete mediatori tra la fede e le culture […]. Avete, nei confronti del Vangelo, una missione generatrice: siete chiamati a far venire alla luce il Vangelo». Proprio per questo la teologia – continua il Santo Padre – «non è disquisizione cattedratica sulla vita, ma incarnazione della fede nella vita».

Per far trapelare la bellezza della teologia, e risultare così il più possibile attraenti, i teologi devono sempre tenere presenti due dimensioni essenziali: la prima è la vita spirituale, in quanto «solo nella preghiera umile e costante, nell’apertura allo Spirito si può intendere e tradurre il Verbo e fare la volontà del Padre»; la seconda, invece, è la vita ecclesiale, vale a dire il sentire nella e con la Chiesa, in quanto la teologia è tale soltanto se è vissuta comunitariamente.images

Al termine del suo discorso, Papa Francesco ha ribadito ai membri della Commissione Teologica Internazionale l’importanza di avere sempre un cuore umile, capace di ricordarsi del destinatario della loro missione: «Il teologo deve andare avanti, deve studiare su ciò che va oltre; deve anche affrontare le cose che non sono chiare e rischiare nella discussione. Questo però fra i teologi. Ma al popolo di Dio bisogna dare il “pasto” solido della fede, non alimentare il popolo di Dio con questioni disputate. La dimensione del relativismo, diciamo così, che sempre ci sarà nella discussione, rimanga tra i teologi – è la vostra vocazione –, ma mai portare questo al popolo, perché allora il popolo perde l’orientamento e perde la fede. Al popolo, sempre il pasto solido che alimenta la fede».

La teologia, dunque, svolge un ruolo essenziale per tutto il popolo di Dio, in quanto, salvaguardandolo da quelle disquisizioni che possono farlo cadere in un relativismo interpretativo, lo nutre nella fede. Il teologo, con l’umiltà del cuore, deve essere occasione perché la Verità, che è Cristo, possa continuare, in ogni tempo e in ogni luogo, a dirsi e a darsi all’umanità.

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