Il Sacramento della Penitenza nel cammino della santità

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Confessionedi Francesco Vermigli • «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2): sono le parole che il Signore Dio d’Israele rivolge al popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto. La santità di Dio – Lui che è il Qadosh, il Totalmente Altro, il Separato – impone all’uomo un radicale cambiamento di vita: più in particolare, la constatazione della santità di Dio (perché sono santo) è un appello affinché nell’esistenza di ciascuno (siate santi) venga riprodotta quella qualità di Dio, su cui insiste in modo specifico la Scrittura.

Che la santità non sia qualcosa che si possiede una volta per tutte, ma un cammino fatto di avanzamenti e di tentazioni, di deviazioni e di rinnovato impegno ad abbracciare la volontà di Dio, è un fatto che ciascuno può sperimentare nella propria vita. Così il papa nella Gaudete et exsultate: «Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché “questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Ts 4,3)» (GE 19). All’inizio della storia della salvezza, ci si imbatte in un versetto (non casualmente citato per due volte nella Gaudete et exsultate) che rende conto di come tale incitamento alla condotta integra e alla santità sia pensato come un cammino da compiere alla presenza di Dio: «Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1).

A partire da queste considerazioni iniziali sulla chiamata alla santità come chiamata universale (cfr. LG, cap. IV), ci chiediamo: in che modo il Sacramento della Penitenza entra in questo cammino di santità? quale ruolo esso svolge nell’esistenza del cristiano?

Ad una prima impressione, il cammino di santità e il Sacramento della Penitenza sembrano appartenere ad ordini differenti. Come detto, la santità è nell’ordine del cammino da intraprendere, della lotta da combattere, della crescita da perseguire, della pienezza da raggiungere, della conquista da ricercare… Il Sacramento della Penitenza sembra appartenere ad un ordine diverso: all’ordine della riconciliazione tra due soggetti (tanto che lo si definisce anche Sacramento della Riconciliazione); esso, cioè, mira a ricondurre a pacificazione un dissidio, a ricomporre un’alleanza infranta, a restaurare un rapporto incrinato. Perché il Sacramento della Penitenza è innanzitutto il sacramento della pace ritrovata tra Dio e l’uomo. In altri termini, mentre la santità è un cammino da seguire, il Sacramento della Penitenza pare avere un carattere puntuale, che segna la riconciliazione dell’uomo con il proprio vissuto e l’assoluzione dei peccati: la santità è un cammino rivolto in avanti, il Sacramento della Penitenza è un atto che si compie in rapporto al passato.

Un’ipotesi di soluzione potrebbe essere che il Sacramento della Penitenza con l’assoluzione dei peccati passati si ponga come la precondizione del cammino di santità (precondizione continuamente da rinnovare ogni volta che se ne dia la necessità, nel caso dei peccati gravi, o almeno l’utilità, nel caso degli altri), al modo di una riconduzione dell’uomo alla condizione di partenza, allo stato di grazia iniziale. Vale a dire che, intesa in questi termini, la confessione sacramentale si porrebbe come la base per un cammino di santità, ma ad altri mezzi (la comunione al sacramento dell’eucarestia, la preghiera, la pratica della carità…) spetterebbe di far avanzare il cristiano lungo la via della santità di vita.

In realtà, pare di poter dire qualcosa di più della semplice ipotesi che il Sacramento della Penitenza sia il rito, per così dire, dell’“azzeramento” della condizione di uomo sottoposto ai peccati attuali. Per affermare qualcosa di più è necessario pensare in un modo diverso la grazia; ogni grazia, anche sacramentale, compresa la grazia del Sacramento della Penitenza.1524032861814

La grazia di Cristo – qualunque sia il mezzo mediante il quale essa si manifesta e si trasmette – non consiste nel ristabilimento della condizione di santità originaria, ma –cosa assai più profonda – nell’entrata nel Mistero di Cristo, nella partecipazione alla salvezza che deriva dalla sua persona, nella progressiva assimilazione alla sua vita. In altri termini, ogni grazia non ha un carattere restaurativo, ma proattivo; perché spinge il credente in avanti, verso la conformazione alla persona di Cristo e alla sua missione. In radice, davvero la venuta di Cristo ha apportato grazia su grazia (cfr. Gv 1,16); e risuona ancora nei nostri cuori il Felix culpa dell’Exsultet pasquale, che rivela la Buona Novella, la notizia mai annunziata in precedenza: dove ha abbondato il peccato, la grazia ha sovrabbondato (cf. Rm 5,20). Entrare in questa dinamica significa entrare in una dinamica soprannaturale in cui l’uomo non è ricondotto ad una condizione originaria da cui rischia sempre di allontanarsi, ma è spinto in avanti, in un orizzonte di santità che si dilata, verso la pienezza della maturità di Cristo (cfr. Ef 4,23). A questa dinamica che connota la grazia intesa in senso generale, non può essere estraneo il Sacramento della Penitenza.

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Francesco Vermigli

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