La povertà e il gioco d’azzardo gialloverde

301 167 Antonio Lovascio
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don-francesco-soddudi Antonio Lovascio • Un balletto di numeri, ma con la povertà non si gioca d’azzardo come sembra voler fare il governo gialloverde, che dimostra di non saper leggere e dare risposte razionali all’inquietante quadro tracciato dall’ultimo Rapporto Caritas. Il numero dei poveri assoluti – ricorda l’organizzazione cattolica rilanciando i dati Istat – continua ad aumentare e supera i 5 milioni. Dagli anni pre-crisi ai nostri giorni è lievitato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento causato dalla recessione. Esiste uno “zoccolo duro” di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della crisi economica del 2007-2008. Con la sola differenza che ora il fenomeno si è sicuramente esteso a più soggetti (quindi non solo anziani, disoccupati, chi ha subito la rottura dei legami familiari, oppure stranieri che hanno cercato asilo) e che quasi un povero su due è minore o giovane.Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono infatti un milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%), mentre i pensionati costituiscono il 15,6 per cento. L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di vita. L’Italia ha fatto dei passi in avanti, ma si colloca ancora al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania; il 14% dei nostri ragazzi abbandona precocemente gli studi e così nella classifica continentale ci collochiamo al quarto posto, dopo Malta, Spagna e Romania. Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%); tra gli italiani questa condizione riguarda il 77,4% degli utenti.

L’organismo pastorale della CEI nel suo Rapporto non si limita a sfornare dati sul disagio sociale e sull’indigenza, ma indica anche soluzioni sulle quali mi pare concordino anche qualificati esperti e commentatori, come il professor Cristiano Gori dell’Università di Trento, motore scientifico dell’Alleanza contro la povertà, o Maurizio Ferrera, editorialista del “Corriere della Sera”. Per combattere questa emergenza occorre un ventaglio di politiche preventive, riparative e compensative, non serve sbandierare per scopi elettoralistici misure fuori dalla nostra portata come “Il reddito o la pensione di cittadinanza”. Una volta tanto guardiamoci attorno e con un po’ di umiltà prendiamo esempio dagli altri. I Paesi con minor tasso di povertà hanno buoni sistemi educativi , robuste politiche attive per il lavoro, la formazione e l’inclusione (ci ha provato anche Gentiloni) e una vasta gamma di prestazioni monetarie (compensazione): per i figli, la disoccupazione, il sostegno agli affitti e così via. Sono sempre più diffusi anche i sussidi alle basse retribuzioni, responsabili della forte crescita dei cosiddetti working poor, lavoratori che, pur occupati, restano sotto la soglia di povertà. Solo al fondo di questo articolato sistema, per chi non ha trovato appoggi di altra natura è disponibile un’estrema rete di sicurezza: la garanzia di un reddito minimo, appunto. Tipicamente accompagnato da misure di assistenza sociale mirata.

A causa di molteplici distorsioni evolutive, nel nostro sistema di welfare – lo ha ben evidenziato il professor Ferrera – questi tasselli sono a tutt’oggi inadeguati o addirittura mancanti. Per esempio, esistono iniziative solo sporadiche contro la povertà educativa dei minori (deficit di prevenzione) o per la formazione, non solo dei giovani, ma anche di chi ha perso il lavoro (deficit di «riparazione»). In Francia o Germania una famiglia senza reddito con due figli riceve fra i 400 e i 500 euro al mese, in Italia non ha invece diritto ad alcun assegno (deficit di compensazione per carichi di famiglia). Non abbiamo un sistema di sussidi alle basse retribuzioni, le detrazioni fiscali non vengono neppure riconosciute agli incapienti. Pochissime le borse di studio: in Italia le ricevono meno dell’8% degli studenti, contro il 35% della Francia e il 65% della Svezia. Si dirà: che c’entra tutto questo con il reddito di cittadinanza? C’entra. È proprio grazie a questi punti d’appoggio che la quota di poveri è molto più bassa negli altri Paesi. La mancanza di reddito è combattuta a monte, prima che si verifichi: un vantaggio per tutti. Il progetto governativo scarica invece tutte le tensioni su un’unica prestazione, il reddito di cittadinanza. In molti contesti del Sud questa prestazione diventerà non l’ultima, ma l’unica spiaggia su cui approdare. E poi?

Allora, anziché avventurarsi in mere operazioni di consenso in vista delle elezioni europee del prossimo maggio, promettendo sussidi a 5 milioni di italiani, il triumvirato gialloverde a trazione leghista rifletta un attimo sulle parole di don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana: <Come cristiani abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa abolire la povertà, ma sappiamo che ogni storia riconsegnata alla sua dignità e alla sua libertà rende migliore il nostro Paese, ci rende migliori>. Infatti la povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensionale a un problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione che rischia di vanificare ogni impegno finanziario.

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Antonio Lovascio

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