Balthasar. La kenosi, il dramma, la gloria

293 349 Francesco Vermigli
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Lubathazar2di Francesco Vermigli • Trent’anni fa moriva Hans Urs von Balthasar, germanista, teologo, prete. Ha qualcosa di simbolico la sua morte: nominato cardinale da Giovanni Paolo II, morì a Basilea nel giugno del 1988, due giorni prima dell’imposizione della berretta. In fondo, come nei film più intricati e appassionanti, anche nella vita degli uomini è dalla fine che si può capire il tratto di tempo che essi hanno trascorso su questa terra. Ed è dunque alla vita di questo uomo di Chiesa che vorremmo ora indirizzare il nostro sguardo, a partire da quel momento finale; dopo che in questa stessa rivista abbiamo già affrontato un punto specifico, ma dirimente della sua teologia (La riforma del Triduo pasquale e la teologia di Balthasar, nel numero del maggio 2015).

Su Balthasar si riporta di frequente l’opinione di de Lubac, che ebbe a definirlo come «l’uomo più colto della nostra epoca»: se vera, questa affermazione serve come messa in guardia dalla presunzione di poter abbracciare in poco spazio un pensiero eccezionalmente articolato, complesso ed erudito. Come si diceva sopra, ha un che di simbolico la morte di Balthasar, perché appare coerente con uno dei pilastri del suo pensiero. La teologia del gesuita originario di Lucerna – divenuto poi prete secolare – è innanzitutto teologia della kenosi. Come noto, il termine è nella Scrittura un apax che compare nella forma verbale solo a Fil 2,7, e indica lo “svuotamento” che Cristo ha compiuto entrando in questo mondo. Tale svuotamento – quel medesimo svuotamento che pare segnare proprio la conclusione della vita di Balthasar – il teologo svizzero lo proietta nell’eternità; come lo “stile” delle persone della Trinità, che reciprocamente si svuotano e si “espropriano”. In questo senso, dunque, la kenosi di Cristo si pone come la manifestazione storica di uno “stile” eterno, che corrisponde alla medesima essenza di Dio.

Quando Dio entra nella storia, si manifesta nella forma di una radicale novità; giacché svela un modo d’essere eterno che mediante la kenosi e l’autoespropriazione rompe lo schema mondano; che è lo schema, piuttosto, dell’appropriazione e del dominio. Quando Dio entra nella storia, la sua presenza si pone come un appello rivolto alla coscienza dell’uomo perché risponda alla rivelazione. Quando Dio entra nella storia è un “caso serio”, che interpella la libertà e che si contrappone ad ogni possibile linea di “cristianesimo anonimo”, dove rispondere o non rispondere ad un’eventuale rivelazione divina sembra quasi indifferente (ci riferiamo ovviamente all’ostilità per l’antropologia trascendentale di Rahner, espressa da Balthasar in Cordula ovverosia il caso serio). Per questo, quando Dio entra nel mondo e, soprattutto, quando muore “fatto peccato” per gli uomini, questi momenti si presentano nella forma di un dramma, che chiede la corrispondenza dell’uomo. Non è da escludere che alla radice dell’accentuazione per la theologia crucis (dove la croce è il luogo del grande svelamento della kenosi cristica, più ancora dell’incarnazione) e più in generale per questo tratto drammatico della rivelazione divina stia una forte influenza del pensiero luterano; influenza favorita dall’ambiente originario di Balthasar (la Svizzera tedesca, dove si incontrano il cattolicesimo e il variegato mondo protestante), dall’amicizia con Karl Barth e – ci pare, ancor di più – dalla simbiosi spirituale con Adrienne von Speyr, passata al cattolicesimo dalla confessione luterana.

Veniamo all’ultima delle tre parole che compaiono nel titolo di questo nostro articolo: gloria. Gloria (Herrlichkeit) compare come prima parola nel titolo della sua celeberrima opera in più volumi dedicata all’estetica teologica. Gloria, soprattutto, è il termine che risente di una forte ispirazione fenomenologica: Herrlichkeit è lo splendore luminoso e abbacinante della Gestalt (forma) di Dio che compare nella storia e si dona all’uomo. Ora nel quadro generale di una teologia fondata sulla kenosi e sul dramma, tale gloria di Dio appare (alla maniera luterana…) sub contrario: è l’essere di Dio che si dà nel mistero salvifico della croce. In breve, la gloria della rivelazione divina secondo von Balthasar ha i tratti di una gloria kenotica.

Proponiamo ora alcune considerazioni conclusive. Balthasar ha vissuto in una stagione felice della teologia cattolica: una stagione di rinnovamento (segnato dalle parole di un suo libro uscito nel 1952: “i bastioni da abbattere”) e di successivo riassestamento (come mostra la fondazione della rivista Communio assieme a de Lubac e Ratzinger). La scontata dialettica con Rahner talvolta ha condotto a creare fazioni. Se questo fatto è accaduto e se accade ancora oggi, forse è perché si pensa malamente la teologia. In fondo il Dio Trino e Uno è così grande da poter sopportare tanto l’estetica teologica di Balthasar, quanto l’antropologia trascendentale di Rahner. Si direbbe, che in Dio vige – per dirla alla maniera di Graziano – la concordantia discordantium e – alla maniera del Cusano – la coincidentia oppositorum.

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Francesco Vermigli

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