1870-2020. Centocinquanta anni da Porta Pia.

800 458 Andrea Drigani
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PaoloVIdi Andrea Drigani · Il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, il Regio esercito italiano entrava in Roma, cessava così lo Stato Pontificio, terminava il potere temporale dei Papi, Roma diveniva capitale d’Italia, ma si apriva pure un drammatico dissidio (la «Questione Romana») tra la potestà civile e la potestà ecclesiastica con dei riflessi inquietanti anche nell’ambito del diritto internazionale. La Questione Romana si risolse, com’è noto, con quella che venne denominata la Conciliazione, cioè la stipula dei Patti Lateranensi del 1929 che furono, poi, espressamente richiamati nella Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, segnatamente all’articolo 7. La fine dello Stato pontificio portò da parte di molti Stati e di teorici del diritto alla negazione della soggettività giuridica della Chiesa cattolica e della Sede Apostolica, questo provocherà una notevole ripresa dell’interesse ecclesiologico, anche se con prevalenti argomenti più sociologici che teologici, intorno cioè al concetto di «societas perfecta». Dopo 150 anni da quell’evento è passata molta acqua sotto i ponti (e non solo quelli sul Tevere), ma non ho trovato di meglio, per una riflessione cattolica sul 20 settembre 1870, che riproporre la lettera, forse obliata e trascurata, che Paolo VI inviò, il 18 settembre 1970, nel centenario di tale avvenimento, all’allora Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat (1898-1988). Papa Montini nel suo messaggio esordiva annotando che la ricorrenza che l’Italia si apprestava a celebrare non lo poteva lasciare né immemore, né indifferente, ma riempiva il suo animo di ricordi, di esperienze e di presagi, specialmente su due aspetti storici: la fine del potere temporale dei Papi e l’annessione di Roma all’Italia, che consolidava in essa la sua unità e vi fissava la sua Capitale. Paolo VI rilevava, inoltre, come la «Questione Romana», che aveva diviso tanto aspramente e lungamente gli animi degli Italiani si era conclusa con un libero e mutuo accordo. Osservando altresì che il delicato e prezioso equilibrio tra Stato e Chiesa era stato raggiunto dai Patti Lateranensi del 1929 dei quali la Costituzione Italiana, «con sagace e lungimirante visione», aveva voluto, mediante particolare solenne garanzia, assicurarne la validità. Mi tornano alla mente le parole di Igino Giordani (1894-1980), pronunciate il 15 marzo 194720150126-b-283x182 all’Assemblea Costituente: «La Conciliazione porta la firma di Mussolini, porta la firma della monarchia decaduta; ebbene, noi, inserendola nella Costituzione, la facciamo democratica e repubblicana». Papa Montini era dell’avviso che i Patti Lateranensi, cioè il Trattato ed il Concordato, del quale ribadiva la disponibilità della Santa Sede per la revisione (avvenuta successivamente nel 1984) potevano essere ricordati con gratitudine a Dio e ad onore del popolo italiano come provvido coronamento giuridico interno ed internazionale e come felice epilogo morale e spirituale del contrastato episodio del 20 settembre 1870. Paolo VI dichiarava inoltre di sentirsi romano, per inestinguibile titolo: l’essere Vescovo di Roma e per ciò stesso Capo della Chiesa Cattolica. Di essere dunque tuttora profondamente legato alla Città Eterna, solo sollecito di quella libertà e di quella indipendenza, che consenta alle spirituali funzioni del Romano Pontefice, nell’Urbe e nel mondo, il loro normale esercizio, sempre convinto e curante che la dimora romana dei Papi per nulla contrasti alla sovranità e alla libera espansione della vita civile italiana. «Noi vogliamo anzi credere – concludeva – che la Nostra presenza sulla sponda del Tevere non poco conferisca all’amore e all’onore del nome di Roma su tutta la terra». La storia delle relazioni tra la Chiesa e la comunità politica in Italia è, ovviamente, una storia che continua, si rinnova e si evolve, con la speranza che essa avvenga sempre all’insegna di una chiara distinzione e di una sana cooperazione.

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