Se il papa cita Michel de Certeau

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di Francesco Vermigli · “Michel de Certeau… chi era costui?”, si potrebbe dire parafrasando il Manzoni, che all’inizio dell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi coglie nel dubbio don Abbondio – in una maniera memorabile (e non solo da “memorare” per uno studente, se vuole superare l’interrogazione al liceo…) – circa quel nome di Carneade, incontrato per caso in un libro che stava leggendo. E sfortunato don Abbondio, che non aveva accesso ad internet e non poteva consultare Wikipedia e avrebbe scoperto chi fosse Carneade… mentre noi lo possiamo fare e possiamo scoprire con un semplice click chi sia questo Michel de Certeau.

Al di là di questo inizio che sembra menare il can per l’aia, chi abbia frequentato un po’ la storia della mistica si sarà imbattuto almeno una volta nel nome di questo gesuita francese assai eclettico ed erudito. Ora, in questa sede noi lo ricordiamo perché il suo nome compare nelle parole che il papa ha rivolto alla Curia romana per i saluti natalizi il 21 dicembre scorso. E non è la prima volta. Ricordiamo ex auditu (perché c’eravamo anche noi) che il suo nome risuonava nel discorso che anni fa (era il gennaio 2016) il papa rivolse agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, radunati nella Sala Clementina. Ne abbiamo parlato in questa stessa rivista online (vedi). In quella occasione il nome del gesuita francese fu chiamato in campo dal papa, come esempio di lettura della vita di Carlo Borromeo, patrono del Lombardo. Il punto è capire perché il papa citi de Certeau.

Che lo faccia perché gesuita, pare una risposta banale. Perché tale domanda può trasformarsi facilmente in un’altra: “perché allora proprio questo gesuita?”. Una buona pista da percorrere per comprendere le ragioni di questo riferimento a de Certeau sembrano essere proprio le parole esatte citate dal papa. Le riportiamo per esteso: «è mistico colui o colei che non può fermare il cammino […] Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove». La versione ufficiale del discorso del papa riporta il luogo esatto di questo brano: Fabula Mistica. XVI-XVII secolo, Milano 2008, p. 353. Siamo chiaramente nell’ambito della vita mistica; in particolare considerata dal punto di vista del dinamismo che non conosce soste, che non conosce fermate. A ricordare bene, era su questo punto specifico che si muoveva anche il riferimento a de Certeau nel discorso al Lombardo del gennaio del 2016: lì il papa sottolineava come la vita di Carlo Borromeo fosse letta dal gesuita francese come anelito ad una continua conversione della propria vita. In questo ultimo riferimento del papa, il nome di de Certeau viene suscitato dall’immaginario del cammino, del viaggio, dell’esodo che si può cogliere dall’episodio natalizio dei Magi.

C’è una parola che nella frase citata, attrae la nostra attenzione: il termine “desiderio”. È diventata ormai di conoscenza comune l’etimologia di questa parola. Desiderio da de-sidus indica la distanza, la lontananza dalle stelle; a cui si anela, a cui si tende. Non si possiede ciò a cui si tende; anzi si tende proprio a ciò che – se posseduto – non potrebbe essere l’oggetto del nostro tendere. Ci ritornano in mente le parole conclusive di Maestrale di Eugenio Montale: «sotto l’azzurro fitto / del cielo qualche uccello di mare se ne va; / né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: / “ più in là”!» (in Ossi di Seppia).

Ora, a ben vedere queste ultime parole di Montale in maniera più immediata, ma il significato stesso del termine “desiderio” rivelano qualcosa di profondissimo della vita mistica. Del mistico è riconoscere continuamente che siamo sempre un passo indietro rispetto a Dio, che Egli – che pur si fa conoscere e facendosi conoscere dona la possibilità dell’esperienza mistica – non lo puoi abbracciare, non lo puoi possedere, perché tu sei creatura ed Egli è il Deus semper maior; come recita sant’Agostino e come afferma una lunga tradizione teologica che – attraverso il teologumeno del Lateranense IV («tra il creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza») – giunge fino al titolo di un celebre libro di un altro gesuita, questa volta polacco: Erich Przywara. E tutto questo rende l’idea di quanto siano un po’ superficiali le accuse che la teologia orientale talvolta rivolge alla teologia occidentale di aver abbandonato la linea apofatica, in favore di quella catafatica, circa l’indagine su Dio. Questa “riserva apofatica” della teologia occidentale ha la sua radice più profonda nel confronto che essa ha fatto e ancora può fare, proprio con l’esperienza mistica: sorta di correttivo ad ogni pretesa dell’intelletto credente di esaurire il Mistero santo di Dio.

C’è un ultimo possibile aggancio tra papa Francesco e Michel de Certeau che non va lasciato passare. Il gesuita francese sostenne alla Sorbona la sua tesi di dottorato su Pierre Favre, compagno di sant’Ignazio agli inizia della compagnia. Ora, papa Francesco ha ascritto Favre nel novero dei santi con canonizzazione equipollente il 17 dicembre 2013. Se si percorrono le parole dell’omelia nella messa del Santissimo Nome di Gesù da lui presieduta nella Chiesa del Gesù il 3 gennaio 2014, si trova un’ulteriore chiave di lettura dell’interessamento del papa per de Certeau: ai suoi occhi, Favre è il capostipite della linea mistica della spiritualità gesuitica, che si distingue da quella linea ascetica, segnata da un forte volontarismo. Chissà che non sia la comune passione e devozione per uno dei più grandi gesuiti delle origini, quello che tiene insieme il papa e Michel de Certeau.

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Francesco Vermigli

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