L’emozione del bene. Attualità di un significativo saggio di Giacomo Samek Lodovici

364 499 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli · Viviamo in un contesto culturale nel quale le emozioni sembrano avere un grande peso. L’emozione è un’esperienza personale, ma è anche comunicabile ed appare del tutto pertinente parlare di emozioni sociali. Le emozioni così intese possono essere cavalcate opportunisticamente dai demagoghi di turno, senza riferimento al bene comune. I demagoghi ci sono sempre stati, ma il fenomeno della comunicazione virale ha certo facilitato la vita ai politici opportunisti. Ascoltando alcune esternazioni recenti di qualche esponente di partito, viene effettivamente da pensare che si è passato il segno. È tuttavia ragionevole pensare che sia anche possibile ed auspicabile interpretare le emozioni riconciliandole con la ragione per orientarle al bene comune.

Per confermarmi in questa speranza ho ripreso in mano un testo del noto docente e ricercatore in filosofia morale dell’Università Cattolica di Milano, Giacomo Samek Lodovici, in cui mi ero felicemente imbattuto circa dieci anni fa: L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù (Vita e Pensiero, Milano 2010). Il libro costituisce un significativo contributo al dibattito etico filosofico contemporaneo che, avendo conosciuto un vivace ritorno d’interesse per il tema della virtù, necessita di una più esplicita tematizzazione delle grandi problematiche antropologiche e gnoseologiche che l’etica della virtù presuppone e fa emergere. Come dice la seconda parte del titolo e come avverte l’autore, scopo dell’opera «non è quello di elaborare una teoria completa della virtù (né una trattazione delle singole virtù), bensì solo quello di proporre alcune idee in vista di una teoria su di essa» (p. XX). Anche la prima parte del titolo, l’emozione del bene, è significativa perché mette in luce la tesi centrale del libro: le emozioni non devono essere contrapposte alla ragione ma considerate sue alleate e costitutive della virtù.

Il saggio si articola in nove capitoli che sono efficacemente sintetizzati dall’autore nell’introduzione.

Il primo capitolo, Perché un’etica della virtù? Lo “status quaestionis”, mostra le ragioni dell’etica della virtù rispetto alle teorie deontologiche o consequenzialiste: l’uomo ha bisogno di un telos per poter dar senso alle norme; ha bisogno, per poter agire bene, di essere amato come pure di amare, e per questo le norme non bastano; le società per essere giuste necessitano di essere composte, almeno in parte, da virtuosi. Una teoria etica deve prendere in considerazione il valore delle emozioni e deve riflettere sul ruolo della comunità nella vita morale del soggetto. Infine «una teoria etica dev’essere elaborata dal punto di vista della prima persona» (p. 20).

Il secondo capitolo, Emozioni e ragione, illustra il rapporto tra emozioni e virtù ponendosi a confronto criticamente con l’emozionalismo, «un atteggiamento-modo di pensare (…) oggi molto diffuso» (p. 23), che mette in primo piano il ruolo dell’emozione, quale fattore escludente la ragione, nella formazione dei giudizi etici. Emozioni e ragione non vanno invece considerate come realtà fra loro incompatibili. Le emozioni supportano positivamente la ragione da cui, d’altra parte necessitano di essere orientate in sinergia con la volontà.

Il terzo capitolo intitolato Il soggetto come totalità, confutando alcune tesi presenti nell’ambito dell’emozionalismo, sostiene la necessità di riconoscere al soggetto una consistenza che trascende le emozioni. Il soggetto non è un semplice fascio di emozioni ma una totalità e le sue azioni non sono isolate atomisticamente. «La vita umana non è costituita da una serie di stati presenti privi di trascendenza, (…) è un processo continuo di integrazione di passato e di futuro in un presente» (p. XVII).

Il quarto capitolo, sviluppando tematiche avviate nei capitoli precedenti, espone i lineamenti di una Ontologia della virtù. «Nella virtù si realizza la sintesi di quella materia che è il mondo emotivo-passionale e di quella forma che viene dalla ragione, una sintesi che porta tutti gli aspetti dell’essere umano a convivere armoniosamente tra loro». La virtù emerge «una sintesi armoniosa delle dimensioni dell’essere umano, in cui ognuna di esse trova il suo giusto spazio ed esprime le sue potenzialità» (pp. XVII-XVIII).

Il quinto capitolo, Virtù come ordo amoris, attingendo in particolare dal pensiero di Agostino e di Tommaso parla del «primato genetico» e dell’«immanenza dell’amore in ogni passione e in ogni azione» (p. 151). In quanto la virtù si esplica nella persona come amore di sé e come amore per gli altri si può affermare che «la pienezza della virtù è ordo amoris» (p. 156).

Il sesto capitolo mette a tema La “phronesis”, la prima delle virtù cardinali, quale «crocevia delle altre virtù» e «fondamento dell’intera vita buona del soggetto» (p. 180).

Il settimo capitolo, Il sillogismo pratico e la virtù, analizza «le fasi del sillogismo pratico e l’influsso su di esse delle virtù etiche, dei vizi e della phronesis», come pure «il rapporto tra le virtù etiche e la phronesis» (p. XVIII).

Il capitolo ottavo, Esistono tratti del carattere? Alcune obiezioni del situazionismo, prende in esame e confuta alcune obiezioni avanzate nell’ambito della psicologia sociale circa la reale esistenza dei tratti del carattere, ovvero «delle propensioni-disposizioni a compiere certe azioni e/o a provare-sentire certe emozioni» (p. 209) e, quindi, delle virtù e di vizi.

Il nono e ultimo capitolo, Come s’individuano e come nascono le virtù e le azioni virtuose, si misura con interrogativi che emergono nell’attuale riflessione filosofica sulla virtù. «Infatti, in un contesto pluralista come è possibile comprendere se una certa azione è virtuosa? E, all’interno di una tradizione chiusa e monista, come facciamo a sapere se una certa azione presentata come virtuosa lo è per davvero?» (p. XIX). Tracce di risposta sono prospettate attraverso una «breve fenomenologia dell’universalismo etico» (p. 218); mediante l’analisi del processo di «genesi della conoscenza morale, del ragionamento pratico e delle azioni virtuose» (p. 229), e di «genesi della condotta virtuosa» (p. 249); nonché attraverso la considerazione degli «ostacoli all’acquisizione delle virtù e all’apprendimento dei principi morali» (p. 253), come pure dalla presa d’atto dell’«influsso della relazione intersoggettiva, dell’educazione e delle comunità» (p. 255).

Si tratta, come si può ben vedere, di un percorso assai articolato circa questioni chiave su cui l’odierna filosofia morale è sfidata a confrontarsi dopo «il ritorno delle virtù». Samek Ludovici ha voluto affrontare con coraggio la sfida regalandoci un itinerario affascinante quanto impegnativo e stimolante per ulteriori riflessioni e ricerche. Il valore del percorso è confermato dalla vasta e assai utile bibliografia, relativa ai soli testi citati, che conclude degnamente il lavoro.

L’autore, come egli stesso non manca di sottolineare nell’introduzione, ha elaborato il suo percorso attingendo in particolare «dagli eticisti della Virtue Ethics, per cercare, sulla scorta delle loro analisi di procedere oltre». Questi autori, in effetti, «non hanno molto tematizzato le grandi problematiche antropologiche e gnoseologiche (ma non solo) sollevate dalla questione della virtù o ad essa preliminari». Samek Ludovici, con particolare riferimento «ad Aristotele, Agostino e Tommaso d’Aquino» (p. XIX), pone in particolare rilievo aspetti che la Virtue Ethics sembra aver tralasciato, relativi specialmente all’ontologia della virtù, alla virtù come ordo amoris, alla phronesis e al sillogismo pratico.

Gli accostamenti di paradigmi di pensiero distanti ma capaci di integrarsi e completarsi sono sicuramente uno dei pregi maggiori del libro e possono costituire un positivo stimolo per il lettore che, per usare liberamente una metafora evangelica, si sente in qualche modo invitato da «un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).

Tutto ciò non risulta incongruo se lo si colloca nell’orizzonte fondamentalmente dialogico che caratterizza la proposta di Samek Ludovici. Nel contesto di una cultura fortemente caratterizzata dalla considerazione delle emozioni, come quella odierna, l’autore propone infatti di riflettere sull’«emozione del bene». Così egli prospetta una riconciliazione fra emozioni e ragione attraverso un dialogo serrato tra nuove importanti evidenze del pensiero contemporaneo – delineate anche attraverso un puntuale ed efficace confronto col pensiero di Nietzsche – e temi illuminanti della tradizione filosofico morale aristotelico-tomista.

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