di Gianni Cioli • Il recente libro a cura di Andrea Riccardi e Augusto D’Angelo: Giorgio La Pira, Abbattere muri, costruire ponti. Lettere a Paolo VI (San Paolo, Cinisello Balsamo 2015), che raccoglie in edizione critica una parte cospicua delle missive indirizzate da La Pira a Papa Montini, costituisce indubbiamente una ricchissima miniera per lo studio storico del Novecento. L’opera risulta altresì una fonte preziosa per cogliere ed interpretare l’affinità e la convergenza sul piano umano, intellettuale e spirituale, pur nelle notevoli differenze, fra due protagonisti della recente storia civile ed ecclesiastica, nazionale e internazionale.
A proposito del rapporto fra i due scrive Andrea Riccardi nell’introduzione: «Montini e La Pira erano quasi coetanei. Il papa era nato nel 1897 e La Pira nel 1904. Furono due personaggi profondamente diversi: il Sindaco appassionato e visionario; il papa da sempre attento, mediatore, riflessivo sul progetto da realizzare, talvolta incerto sulle decisioni da prendere […], ma convinto riformatore, anche se non utopista. Furono due uomini di fede profonda e due amici» (p. 12).
L’amicizia nata negli anni in cui Montini era assistente della FUCI (1925-1933) e si era consolidata quando La Pira, abbandonata Firenze per sfuggire alla polizia fascista, era stato ospite in Vaticano. Il rapporto di conoscenza e stima era stato portato avanti negli anni successivi e – nel periodo dell’Assemblea Costituente – aveva con tutta probabilità trovato un singolare alimento e approfondimento nei frequenti incontri che i “professorini” avevano con monsignor Montini per confrontarsi sulle proposte da portare in assemblea.
Dopo che Montini era divenuto Arcivescovo di Milano La Pira gli aveva preannunciato che sarebbe divenuto papa, e si comprende come si aspettasse molto dalla sua elezione quando questa finalmente si verifico.
Dopo l’elezione di Montini a papa però le lettere di La Pira a Paolo VI sono praticamente un epistolario a senso unico; nel senso che il papa ha scritto a La Pira una sola lettera, nel settembre 1977, circa due mesi prima che quest’ultimo morisse.
Nel silenzio di Montini, anche alla luce della frequente comunicazione intercorsa nel periodo precedente, si percepisce forse un messaggio implicito che potrebbe suonare così: non posso seguirti fino in fondo ma sono contento che tu ci sia con il tuo carisma e la tua profezia a ricordarci che «Lo Spirito del Signore, che anima l’uomo rinnovato nel Cristo – sono parole della Octogesima adveniens n. 37 –, scompiglia senza posa gli orizzonti dove la sua intelligenza ama trovare la propria sicurezza, e sposta i limiti dove si rinserrerebbe volentieri la sua azione; egli è abitato da una forza che lo sollecita a sorpassare ogni sistema e ogni ideologia».
Uno dei punti di convergenza fondamentali fra la visione di La Pira e quella di Paolo VI penso che possa essere individuato nella teologia storia, concetto che la Pira evoca sovente nei suoi scritti riferendosi con preferenza, pur senza escludere altri autori come Daniélou, all’opera di Vito Fornari, autore molto amato anche da Paolo VI e sua documentata fonte per l’elaborazione della Ecclesiam suam.
Particolarmente significativo a proposito della sua visione della teologia della storia è un discorso di La Pira del settembre 1962:
«Se la Resurrezione di Cristo è vera (ed è vera), se è vera (ed è vera) tutta la Rivelazione (Antico e Nuovo Testamento), se Pentecoste (epperciò, la fondazione della Chiesa) è vera (ed è vera), allora la storia totale del mondo (cioè della Chiesa e dei popoli di tutta la terra) ha un senso, una direzione ed una finalità ben definita: Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e la fine della storia totale del mondo: la storia attua un disegno che ha Cristo come causa efficiente, causa esemplare e causa finale! La storia del mondo è cristocentrica: a questa conclusione non si i sfugge (la storia è la biografia di uno, di Cristo, dice Fornari)».
È significativa la corrispondenza di questo passaggio con alcuni testi del magistero di Paolo VI ad esempio una catechesi del 1965 che poi verrà fra l’altro citata nel noto n. 45 della Gaudium et spes: «Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, è cioè il Messia, il centro dell’umanità, Colui che dà un senso agli avvenimenti umani».
Fra La Pira e Paolo VI si può riconoscere una convergenza di pensiero dovuta certo alla frequentazioni di fonti comuni, come l’opera di Fornari, ma con molta probabilità anche al confronto diretto avvenuto fra i due negli anni della loro reciproca frequentazione fino all’elezione di Montini a Vescovo di Milano e poi a Vescovo di Roma.
Come ha evidenziato Klaus Demmer, nel magistero di Paolo VI, soprattutto in quello relativo alla pace, è ravvisabile una dimensione profetica che si colloca primariamente nella linea dell’insegnamento morale di Gesù sintetizzato nel quinto capitolo del Vangelo di Matteo e che consiste nel manifestare nuove possibilità e migliori alternative per il superamento delle costrizioni conflittuali che affliggono la storia.
Certo dietro alla tensione profetica del magistero di Paolo VI non vi sarà sicuramente soltanto l’influsso di La Pira, ovvero dei colloqui e degli scambi epistolari intercorsi con lui, ma ravvisare la presenza e la rilevanza di tale influsso è del tutto plausibile.
Secondo quanto afferma sempre Riccardi nell’introduzione, «Montini, da papa, condivise le visioni di La Pira in modo molto più intenso di quanto non si sia finora notato» (p. 26).